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Caccia alle streghe bambine in Africa

La superstizione spinge le sette apocalittiche a lapidare i piccoli ritenuti causa di disgrazie

Caccia alle streghe bambine in Africa

Emanuela Fontana

L'aspettavano con le mani cariche di pietre, davanti a casa. Sapevano a che ora sarebbe arrivata, di ritorno dalla scuola. Erano il giorno e il momento stabiliti. Bisognava ucciderla perché era una strega. E l'avrebbero fatto, se Afua, nome di fantasia, non avesse cambiato strada. Strega, nel Congo animista, si diventa quando una setta lo decide. Avviene una disgrazia in una famiglia: un uomo si ammala di continuo, una donna non riesce a rimanere incinta. E allora ci deve essere una causa, una colpa, uno spirito nero che trama e distrugge. Di solito è una bambina. Centinaia di famiglie della zona di Bukavu, nel Congo orientale, si affidano alle sette apocalittiche. La loro religione è questa: eliminare il male che si annida nelle persone vicine, anche nei piccoli, portatori di sciagura, secondo una visione del mondo costruita sulla superstizione. La bambina indicata viene tenuta lontana da tutti. Nessuno beve la sua acqua, viene bruciato ciò che tocca, è torturata, uccisa.

Suor Natalina Isella ha salvato la piccola che stava per essere lapidata come centinaia di bambine negli ultimi tredici anni. Suora laica, è in Congo dal 1976, quasi quarant'anni dedicati ad aiutare donne e bambini, prima al seguito di una missione dei Padri Barnabiti a Birava, sul lago Kivu, all'epoca dell'epidemia di colera. Lavorava con le ragazze analfabete, andava a caccia dell'acqua come dell'oro. Poi, nel 2002, si spostò a Bukavu. Il Congo era stato da poco invaso dai rifugiati del Rwanda. Molte missioni erano state abbandonate a causa dei saccheggi. Suor Natalina si muoveva con un'équipe mobile. La guerra aveva distrutto anche i luoghi di carità. «Ci venivano segnalati molti bambini di strada» . Durante un intervento con alcuni studenti volontari, sedute sul marciapiede c'erano alcune bambine sole. Furono loro a farsi avanti: «"Perché non vi occupate anche di noi?", dissero». E iniziarono a raccontare le loro storie, la più piccola aveva sette anni, la più grande dieci. Erano le «streghe bambine» di Bukavu, cacciate di casa perché ritenute colpevoli di malefici. Trovare un locale e avviare un'associazione furono due miracoli. Suor Natalina gestiva una struttura per portatori di handicap, e le prime bambine furono accolte lì. Era sola. Anche i congolesi che si occupavano di assistenza preferivano non avere a che fare con le piccole «streghe», come se fosse una contaminazione: «È meglio se lo fai tu», le dissero. Però la lasciarono in pace. E con i mesi, e gli anni, molti congolesi hanno iniziato a segnalarle le bambine, in una rete di collaborazione silenziosa in cui le streghe fanno ancora paura, ma l'amore di questa suora laica di Dolzago incanta. Dall'Italia l'aiuto passa soprattutto attraverso il Movimento per la lotta alla fame nel mondo di Lodi. All'inizio erano nove, poi venti, ora sono trenta. Spesso sono piccole nate fuori dal matrimonio, o «che hanno perso la mamma», racconta suor Natalina da Bukavu. Bambine che hanno una mancanza d'origine, e non per loro colpa. Facile additarle come le cause di ogni male. Ora ogni mattina aspettano suor Natalina in quaranta a Ek 'Ebana, la casa delle bambine. Ci sono anche piccoli abbandonati, ragazzine abusate. «Lavoriamo alla mediazione con le famiglie . Le inseriamo a scuola». Le bambine imparano i piccoli mestieri di casa, e soprattutto l'amore per se stesse. È difficile liberarle dall'idea di essere colpevoli, mostri per la società. In alcuni casi sono necessari anni per riportarle a casa, in quelli più disperati le famiglie chiudono ogni contatto. Una delle ultime ad entrare a Ek 'Ebana è stata una ragazza di quattordici anni. «Una zia aveva il marito che stava sempre male - ricorda suor Natalina -. Si è rivolta a una di queste sette, che vengono chiamare Chiese del risveglio. Le hanno detto che ci doveva essere una ragazza in famiglia da allontanare». Tutti i vicini volevano eliminarla. Sarebbe stata lapidata se il padre non fosse intervenuto, dicendole di non tornare a casa. Capita, in questo Congo di tabù e di brutalità, che ci sia qualcuno in famiglia che si ribella. Un'altra ragazzina di undici anni, di fronte alla madre che non voleva collaborare nel processo di mediazione, l'ha affrontata: «Ma sei tu la mia vera mamma o no?». Non poteva credere che rifiutasse di venirle incontro. «La madre ha iniziato a parlarle». La ragazza per ora torna in famiglia solo nei fine settimana, ma i genitori non vogliono che sia cattolica e che vada a messa. Per impedirglielo, la caricano di lavori la domenica. «Lei cerca di organizzarsi iniziando la notte». Non tutte riescono a salvarsi, molte storie rimangono nel silenzio.

«Qui la guerra non è mai finita».

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