Politica

Calcio, l’esproprio dei milionari

C’era una volta l’esproprio proletario, adesso c’è l’esproprio milionario. Stessa passione, stessa ipocrisia. Allora a sfasciare vetrine e a rubare prosciutti (o più spesso l’incasso della giornata) erano i figli di una borghesia radical chic con l’eskimo foderato di cachemire. E i proletari? Alle presse.
Oggi a minacciare di fermare il campionato di calcio e ad annunciare: «Non giocheremo contro Juventus, Inter e Milan» sono capitani d’industria potenti come Diego Della Valle e Riccardo Garrone, alla guida di club di tradizione ed incassi come Fiorentina e Sampdoria. Più il rabdomante Zamparini, che a Palermo ha scoperto una miniera d’oro. Tutti con un evidente problema di approccio al mondo degli affari: le tasche cucite e nessuna voglia di investire in proprio. Molto meglio mutualizzare.
Così, il pallone è di nuovo sotto scacco e il motivo è sempre lo stesso: la pioggia di denari delle Tv. Una legge del 1999 promulgata dal governo D’Alema con uno sponsor politico (Walter Veltroni) e un padre sportivo (Franco Sensi) stabilisce che tali diritti debbano essere trattati individualmente. Si discute se mantenerla in vita o cambiarla. I grandi club preferirebbero continuare a trattare direttamente con mister Rupert Murdoch, titolare dell’esclusiva delle partite in diretta sul satellite, e con Piersilvio Berlusconi, referente numero uno di Mediaset per ciò che riguarda il digitale terrestre.
Lo scoglio è evidente. E, per superarlo, si tratta. Ci si avvicina, ci si allontana. Finché un giorno - dopo una fumata nera in Parlamento con la stessa maggioranza divisa - Della Valle, Garrone e Zamparini decidono di trasformarsi in sindacalisti della Cgil. Inverno caldo, tutti sull’Aventino, sai che eccitazione. E chissenefrega dei tifosi, degli abbonati, della serietà di un campionato del quale anche loro sono parte integrante.
Il portavoce è Riccardo Garrone, petroliere. Il leader è Diego Della Valle, imprenditore del lusso (che Anna Falchi definì in un’intercettazione «lo scarparo»), abituato a far la voce grossa nel patto di sindacato Rcs pur con il 4,3% delle azioni e nel consiglio d’amministrazione della Bnl pur con il 4,9%. Gli altri investono e lui comanda. Ma non sempre funziona così.
L’idea del boicottaggio è devastante. Ed è negativa per tutti. Chi è convinto della bontà della trattativa collettiva cita spesso, quale modello vincente, la struttura del basket americano. Dimenticandosi che la Nba è un’azienda con 30 filiali (le squadre), è un business chiuso in cui non esistono retrocessioni. Showtime, hot dog e gara delle schiacciate. Si gioca sul serio da aprile a giugno. Chiaro il concetto?
E noi, tutti uguali davanti a una telecamera. È qualcosa che ricorda troppo il sei politico per farci entusiasmare. Anche perché nel teorema dei proletari con lo yacht c’è una falla: loro dicono che chi ottiene più soldi vince.

Giusto. E allora l’Inter?

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