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Il cantante amico di Tanzi e dei calciatori che vede (nero) nel futuro

Rinaldo Del Monte, nome d’arte: Rinaldo Ebasta: "Avevo avvertito Calisto: non puoi diventare più grande di Dio. Non m’ha ascoltato". Nell’86 tentò di fermare un Dc-10 che poi durante il decollo ebbe un guasto al motore

Il cantante amico di Tanzi 
e dei calciatori 
che vede (nero) nel futuro

«Ho visto cose che la gente comune non può nemmeno immaginare». Nella sua naïveté, Rinaldo Del Monte neanche si rende conto di rifare il verso al capo dei replicanti ribelli nel finale di Blade Runner, film che probabilmente s’è perso, sempreché sia al corrente che è stato girato. Quella che per gli altri è fantascienza, per lui è realtà quotidiana. «Ho visto Milano devastata da 12 scosse di terremoto. Ho visto due oceani che s’incontrano. Ho visto il purgatorio, grigio, freddo, pieno di persone che non possono comunicare anche se stanno vicine. Ho visto l’inferno, popolato di individui con la testa di mucca e le carni putrefatte. Ho visto il paradiso, un sentiero di luce, ma sul sentiero non c’era nessuno, e una voce mi diceva: “Qui ci arrivano in pochi”. Ho visto con vent’anni d’anticipo sulla Fifth Avenue di New York, dove non ero mai stato, ragazzi con l’anello al naso e il piercing sulla lingua e Gesù che mi diceva: “Ecco il mondo dove andrà”».
Rinaldo - è così che vuol essere chiamato - non ha solo visto. Ha anche fotografato. Su pellicola. Quando gli nomino Photoshop, mi guarda attonito: «Cos’è?». E dopo che ho schiacciato il tasto Ctrl sul suo portatile nuovo di zecca, s’inquieta: «Adesso che hai fatto? Sei sicuro che il computer funzioni come prima?”». Insomma, non saprebbe usare un programma per il ritocco delle immagini. «Ho fotografato nel cielo di Nashville il rosso fuoco degli attentati alle Torri gemelle quattro anni prima che accadessero, guarda quest’esplosione mostruosa, lo annunciai in Argentina a Cronica Tv, in un programma condotto da Anabela Ascar, e con l’aiuto della titolare di una boutique di Miami scrissi a Ted Kennedy, per mettere in guardia il Senato degli Stati Uniti, ma quell’ubriacone nemmeno mi rispose. Ho fotografato Sirio nella notte di Pasqua: ecco qui la stella trasformata in una croce, presto tornerà nel cielo e ci resterà a lungo affinché il mondo creda. Ho fotografato l’acqua in fiamme nella cavità buia della sorgente di Lourdes, con al centro un cuore incandescente, lo vedi?». Vedo.
Quel giorno, alla Grotta di Massabielle, non era solo. Accanto a lui i calciatori Mark Bresciano, Emanuele Filippini, Andrea Pisanu e il capitano del Parma, Beppe Cardone, oggi al Modena, che in seguito avrebbe dichiarato alla Gazzetta di Parma: «Ebbi un grave infortunio. Non guarivo. Rinaldo mi disse che erano i ferri nella gamba a farmi infezione. Prima dello spareggio a Bologna andammo in sette o otto a casa sua. Lui anticipò il 2-1 finale e disse di aver “visto” una mischia, con la palla che mi colpiva e finiva in rete. Il gol ai rossoblù lo feci così. Non mi vergogno a dire che tutte le cose dette da Rinaldo si sono avverate».
Ma chi è Rinaldo Del Monte, anzi Rinaldo Ebasta? È con questo bizzarro nome d’arte, frutto di un equivoco, che molti lo ricordano come cantante di musica leggera. Glielo attribuì un giornalista: «Mi chiese: “Come si chiama?”. E io: Rinaldo. “Rinaldo e poi?”. Rinaldo e basta. Quello capì che era il mio cognome». Per un certo periodo gli portò fortuna: esordio nel 1966, trionfatore in vari Cantagiro, battesimo televisivo a Settevoci di Pippo Baudo. Il suo brano di maggior successo, Bonnie & Clyde, versione italiana della ballata che faceva da colonna sonora al film Gangster story con Warren Beatty e Faye Dunaway, lo inchiodò al ruolo di malavitoso in abito gessato. La voce roca fece il resto. Il 45 giri, con la copertina disegnata da Guido Crepax, il padre di Valentina, svettava in Hit parade. La canzone fu persino adottata a Carosello nello spot di una crema per mani: «Cos’hai fatto? Almeno hai una scusa?», e Minnie Minoprio, nei panni di Bonnie, rispondeva: «Ero a corto di Danusa».
Un film. I passaggi dalla Ariston alla Ricordi, dalla Durium alla Rca. Quindi Il gallo, in cui tenne a battesimo come compositore lo sconosciuto Adelmo Fornaciari, oggi Zucchero. Due canzoni di Piero Ciampi e un’altra arrangiata da Giorgio Moroder, il musicista di American gigolo, Flashdance, Fuga di mezzanotte, La storia infinita, Metropolis. Poi per Rinaldo si spalancarono le porte dell’inferno, e non in senso figurato: «Ho avuto il diavolo in casa. Non mi lavavo più, fumavo 180 sigarette al giorno. Per dieci anni ho vissuto dentro una Citroën col mio Kill, un pastore tedesco. Stavo per suicidarmi».
Lo ha salvato l’incontro con i santi di cui oggi porta sempre con sé le reliquie: padre Leopoldo Mandic, il carismatico confessore cappuccino morto a Padova nel 1942, e padre Pio. Del primo, il cui corpo venne riesumato intatto a 24 anni dalla sepoltura, conserva in una teca d’argento un lembo di pelle; del secondo, un brandello della pezzuola che teneva sul costato sanguinante: «Me l’ha consegnato fra Modestino da Pietrelcina, che gli medicava le stigmate».
Del Monte vive in un alloggio popolare del Comune alla periferia di Parma. Non ha né stipendi né pensioni: affitto, bollette e alimenti vengono pagati da un benefattore, Licinio Zecca, industriale metallurgico. Ma può contare su una fitta rete di amici, fra cui i calciatori Alberto Gilardino, Daniele Bonera e Alberto Paloschi, l’allenatore del Modena, Luigi Apolloni, e quello della Fiorentina, Cesare Prandelli, che di lui ha detto: «Rinaldo è uno spirito buono, con un’energia incredibile. Quand’ero al Parma, caricava tutti con le sue previsioni».
La descrivevano come il cappellano della squadra locale.
«Calisto Tanzi mi aveva chiesto di togliere le bestemmie ai giocatori. Te non hai idea di che moccoli orribili tiravano».
Era il consigliere spirituale di Tanzi.
«Di Tanzi ero, sono e resterò sempre amico. Prima del crac Parmalat l’ho accompagnato a San Giovanni Rotondo sulla tomba di padre Pio e a Padova su quella di San Leopoldo. Speravo che capisse cosa doveva fare. Ma la megalomania acceca. Il Gesù della Sindone m’è apparso e mi ha detto: “Tu sei la sentinella del Signore”. Che fa una sentinella? Avverte. Avevo esortato Calisto: stai attento, non puoi diventare più grande di Dio».
Non è servito a molto.
«Doveva trovare il coraggio di fallire, fermarsi. Invece è andato avanti perché certi potenti gli avevano fatto promesse che poi non hanno mantenuto. Non ha capito che di potente c’è soltanto Dio. L’uomo non è potente neanche quando va di corpo. “Maledetto il giorno che non t’ho ascoltato”, ha ammesso. È una persona buona. Mai avrebbe derubato la povera gente. Hanno fatto tutto i mercenari e le banche. Che Calisto non è un delinquente sono andato a dirlo anche al giudice Pietro Rogato. Alla fine mi ha stretto la mano: “Lei è l’unico in tutta Parma che non gli ha girato le spalle”».
Com’è diventato amico di Tanzi?
«Gli avevo predetto che il direttore generale di un suo stabilimento in Portogallo non aveva un tumore maligno, come ipotizzavano i medici, bensì benigno. Un giorno l’ho incontrato in aeroporto e mi ha chiesto: “Perché non canti più?”. Gli ho raccontato la mia odissea. “Ti aiuto io”. Mi ha fatto incidere Mamma di Beniamino Gigli in italiano e in francese».
La racconti anche a me, quest’odissea.
«La donna che amavo da 11 anni mi lasciò. I genitori, ricchissimi, non mi reputavano alla sua altezza. Nel 1968 la mia carriera di cantante, appena iniziata, era già finita. Scrivevo i brani senza aver studiato musica: li suonavo al pianoforte, registravo e portavo la cassetta a talenti come Tullio De Piscopo, che mi mettevano le note sul pentagramma. Ciò nonostante ogni domenica l’applausometro m’incoronava vincitore a Settevoci. Finché un sabato mi dissero: “Domani te perdi. Poi ti faremo fare altre cose, sta’ tranquillo”».
Campa cavallo.
«Cominciai a conoscere il mondo schifoso della musica leggera. Avevo venduto mezzo milione di dischi, mi spettavano 25 milioni di diritti d’autore, oggi sarebbero 400.000 euro: non vidi mai una lira. Se volevi sfondare, dovevi pagare. Mi classificai primo nelle prove eliminatorie per la Gondola d’argento a Venezia. La sera dopo mi presero in disparte: “O sganci 5 milioni o sei fuori”. Walter Chiari mi difese: “Ma se è il più bravo!”. Dissi all’impresario: te morirai. Dopo un anno morì».
Tragica consolazione.
«Mi mandarono a casa d’un noto autore di Milano, che aveva promesso di scritturarmi per 12 puntate televisive con Ornella Vanoni. Non sapevo che fosse finocchio. Mi mise una mano sul grillo, io gli tirai uno sleppone e corsi via disgustato. Fu la mia condanna a morte. Porte chiuse ovunque. Mi ammalai. All’ospedale di Parma lavorava il professor Guido Lucarelli, grande ematologo, padre del conduttore di Blu notte. Scosse la testa: “Non ti posso curare con le medicine. Ti hanno fatto troppo male. Ci vuole un miracolo”. Pesavo 40 chili. Dieci anni di sofferenze a mente lucida, senza prendere una pillola, roba che al confronto un tumore fa ridere, scelgo subito quello, piuttosto».
Come ha fatto a uscirne?
«Un amico mi mandò al santuario della Madonna di Fatima di San Vittorino, fuori Roma. Subito entrò in me un’energia meravigliosa. Cominciarono ad accadermi cose inaudite: sotto la pioggia non mi bagnavo; un ristoratore mi offrì il pranzo e alla fine mi consegnò pure una busta con dentro un milione di lire; percorsi 40 chilometri in auto con Victor Poletti, l’attore felliniano di E la nave va, senza una goccia di benzina nel serbatoio; i trigliceridi, ormai a 1.000, in una notte mi scesero a 86. Da allora sono 33 anni che non perdo una messa domenicale».
E sente le «voci», guarisce le persone...
«Io non guarisco proprio nessuno. È il Signore che guarisce. Ho litigato col primario ateo che aveva dato due mesi di vita a un bidello di Novara, fratello di Giuseppe Fiaccabrino, un ingegnere aeronautico che si occupava dei jet della flotta privata di Tanzi. “Cirrosi epatica fulminante”, aveva diagnosticato. Ho messo un santino di San Leopoldo sotto il cuscino del letto d’ospedale. Era solo un’aderenza intestinale. Ora sta benone». (Chiama al telefono Fiaccabrino e me lo passa: il professionista confessa la sua incredulità di non praticante ma conferma i fatti). «A Luigi Apolloni, quando giocava nel Parma, i medici di New York avevano riscontrato una cosa molto brutta a un tendine. L’energia del buon Dio che gli ho inviato da casa mia l’ha guarito. Lo stesso con un ciclomotorista in coma dopo un incidente. Ho appoggiato la reliquia ex corpore del mio San Leopoldino sul sistema tv a circuito chiuso, perché non potevo entrare in rianimazione. Il ragazzo s’è svegliato e ha fatto uno sbadiglio».
Ma delle sue visioni catastrofiche non esistono prove testimoniali.
«Ti sbagli. Rio de Janeiro, 1986. Sono su un Dc-10 della Varig diretto in Italia pronto al decollo. Sento una voce che mi dice: “Blocca l’aereo o morirete tutti”. Urlo: spegnete i motori! Gli altri passeggeri inveiscono: “Ma è pazzo?”. Arriva un pistolino alto così: era il comandante. “Prenda una di queste pillole e si calmi. I miei strumenti dicono che è tutto in ordine”. Due steward mi brancano e mi rimettono a sedere. Vedo il mio corpo che brucia, tagliato in quattro pezzi. Tiro fuori la reliquia di San Leopoldo e lo imploro: non mi credono, fermali tu. Il Dc-10 comincia a prendere velocità. Quando ormai sta per staccarsi dal suolo, frena bruscamente. Voce del comandante: “Abbiamo un problema al motore sinistro”. Tutti giù. Il pistolino mi viene incontro: “All’ultimo minuto s’è accesa una spia in cabina. Ma lei chi è?”. Gli do un’immaginetta di San Leopoldino. La bacia. “Caso o non caso, la terrò sempre con me”».
Come faccio a rintracciare tutti i passeggeri e l’equipaggio dell’aereo?
«Guarda che la notizia uscì sulla Domenica del Corriere. Non devo dimostrare niente a nessuno. Comunque puoi chiedere all’ospedale di Parma di quella volta che arrivai con una lesione dell’aorta. Tanzi aveva già dato ordine di portarmi in America col suo jet per farmi operare. Ma il medico di guardia fu risoluto: “Preparatelo, domani va sotto i ferri per primo”. Durante la notte vidi padre Leopoldo a fianco del letto col suo bastone. M’accarezzava la testa. Mi strappai l’ago dal braccio e scappai dalla terapia intensiva. Mai più visto il chirurgo. Sull’aorta i radiologi ora notano qualcosa, come un rammendo».
Non sarà stato facile convincere gli emiliani che questi fatti soprannaturali le sono accaduti.
«Il comunismo è la fabbrica dell’ignoranza. E l’ignoranza è peggio della bomba atomica: un proiettile senza traiettoria».
Come devo prendere le sue profezie?
«Prendile come vuoi. L’aborto è la spada di Damocle sospesa sul capo dell’umanità. Decidere chi deve nascere e chi deve morire: il peggior abominio. La Cina che ha già ammazzato 160 milioni di bambine sarà devastata da un terremoto al cui confronto quello del Sichuan fu niente. Siamo solo all’antipasto, il pranzo deve ancora arrivare». (Questa intervista è stata raccolta il 7 aprile. Il 14 aprile la provincia cinese del Qinghai è stata colpita da un sisma di grado 7,1 della scala Richter che ha provocato 2.046 morti, 13.000 feriti e 193 dispersi. L’indomani Del Monte mi ha spedito il seguente Sms: «Ce ne sarà uno che passerà il valore 10, questo pianeta è malvagio», 10 è la massima magnitudo della scala Richter). «Dio non è un’associazione a delinquere, scrivilo bene in grande. I disastri che faranno il mare e il sole sono inimmaginabili».
Ma lei quanti anni ha?
«Lascia stare, ché canto ancora, non sono mica meno bravo di Zucchero e degli altri demoni che hanno rovinato milioni di giovani». (Ne ha compiuti 64 a febbraio).
Credevo che fosse molto amico di Zucchero.
«Venne a chiedermi aiuto agli esordi. Gli pronosticai: avrai successo, il primo che arriva aiuterà l’altro. L’hai più visto te?».
Poteva aver successo anche lei.
«Ero a Parigi in casa del grande discografico Eddie Barclay, il produttore di Jacques Brel. Non credeva ai suoi orecchi: “Senti che voce, Jacques”. E Brel: “Stupenda! Prendilo subito”. Ma il manager che era con me mise il veto. Barclay si stizzì: “Allora quella è la porta”. Si vede che il mio destino era un altro».
(495. Continua)
stefano.

lorenzetto@ilgiornale.it

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