Medicina

Il carcinoma ovarico va affrontato con la chemioterapia e la chirurgia

Roberto Zadik

Proseguono gli studi sul cancro alle ovaie e, dall'ospedale S. Orsola Malpighi di Bologna, arrivano notizie confortanti. Infatti, proprio presso il Policlinico bolognese, un'equipe di ricercatori ha appena messo a punto una nuovo approccio multidisciplinare a questa patologia, tramite l'azione congiunta di una serie di specialisti, dai ginecologi ai radiologi. In questo modo si allungherebbero i tempi di sopravvivenza delle pazienti, soprattutto donne di età compresa tra i quaranta e i sessantacinque anni, che devono fare i conti con questo male. Ora più che mai si sta cercando un rimedio efficace e il più possibile definitivo contro tale tipo di tumore classificato come l'ottava causa di morte tra le donne malate di cancro che colpisce annualmente circa 5000 persone, di cui 450 solo in Emilia Romagna.
È quanto è emerso dal Congresso «Therapeutic Progresses and perspectives in Ovarian Cancer» tenutosi a Bologna. L’ospedale Malpighi, con queste nuove sperimentazioni intende promuovere un metodo terapeutico totalmente diverso rispetto al passato: è un modo multidisciplinare di affrontare il carcinoma ovarico. Una prospettiva del tutto innovativa che intende contrastare la malattia facilitando la divisione tra pazienti da operare immediatamente e soggetti da sottoporre a un trattamento di chemioterapia. Un semplice Pap Test non basta quindi e bisogna sottoporsi ad un esame il più possibile completo. A questo proposito il professor Andrea Martoni, dell’unità di oncologia medica del Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, che ha presieduto il congresso, ha specificato che il trattamento prevede: «l'integrazione delle diverse competenze di diagnostica strumentale, quali l'ecografia, e di laboratorio (istologia e biologia molecolare) con quelle di terapia farmacologia».

In questo contesto, recenti pubblicazioni hanno evidenziato che farmaci antitumorali, già utilizzati attualmente come doxorubicina liposomiale pegilata, se combinata con carboplatino, permettono, in caso di recidive, di ottenere una risposta favorevole nel 60-70% delle donne e completa nel 30-40% dei casi.

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