Cultura e Spettacoli

Le carezze di Kissinger al dragone cinese (comunista e capitalista)

In un libro l’ex segretario di Stato di Nixon ricorda le sue numerose missioni diplomatiche in Asia. E ammonisce l’Occidente: no al muro contro muro

Le carezze di Kissinger  al dragone cinese  (comunista e capitalista)

Cina di Henry Kissinger (Mondadori, pagg. 514, euro 22) è un libro importante perché affronta un tema cruciale dell’attuale fase politica mondiale: il ruolo di Pechino nel prossimo futuro. È anche affascinante, perché la narrazione degli incontri tra il Kissinger segretario di Stato di Richard Nixon con Mao Zedong e Zhouenlai è attraente, come sempre accade quando si osserva la storia da vicino, e include le chiacchiere, gli aneddoti, gli infortuni, le piccole schermaglie procedurali. Ed è infine un libro educativo, perché spiega come i destini delle nazioni non possano essere compresi soltanto attraverso le ideologie e ancor meno le psicologie: la materia di cui sono composti è innanzi tutto la storia (e la geografia). La millenaria storia dell’Impero celeste (che occupa quasi un quinto del ponderoso volume) è fondamentale, secondo l’autore, per spiegare le mosse di Mao, il padrone della Cina post 1949.

Sono decisive le costanti del Regno di Mezzo (in mandarino Zhongguo - così dal mille avanti Cristo si definisce la Cina perché si ritiene il centro del modo); l’unificazione dell’impero con Qin Shi Huang nel 200 a.C.; il peso della tradizione sia confuciana (osteggiata da Mao ma esaltata da Deng Xiaoping e fondamento dell’attuale regime) sia di Sun Tzu e della sua Arte della guerra, alla base dell’elaborazione maoista; il ricordo del secolo dell’umiliazione, tra metà ’800 e metà ’900, inflitta dalle potenze occidentali, poi dai giapponesi e infine in qualche modo dai sovietici. Tutto ciò, secondo Kissinger, spiega la politica cinese di oggi. E poi c’è la geografia. Per i cinesi il «nemico» veramente insidioso è sempre venuto dal Nord: i mongoli, i giapponesi e infine i sovietici. Ecco perché nel 1972, alla faccia dell’internazionalismo proletario, Mao è pronto a incontrare Nixon e a fare il tifo per lui (i democratici sono troppo mollaccioni con i sovietici, spiega il leader delle Guardie rosse) e a trovare uno sbocco alla guerra in un Vietnam che non è mai piaciuto troppo al Celeste Impero.

Se questo approccio storicistico di Kissinger è prezioso per chi vuol capire e non arrendersi alle propagande, è da rimarcare anche l’appello affinché non si isolino i cinesi, se ne comprendano le radici storiche, si impari dal loro passato. In quest’altra parte del libro, l’ex segretario di Stato Usa esorta l’Occidente a non commettere errori che porterebbero a conflitti dagli esiti non prevedibili e che per un secolo, afferma, bloccherebbero lo sviluppo dell’area del Pacifico. Gli ultimi capitoli del libro sono incentrati su questo tema, sviluppato attraverso il racconto degli incontri (oltre 40 in quarant’anni) con i leader post-maositi, a iniziare da Deng.

Questo contributo di Kissinger interviene in un dibattito attualissimo in cui non tutti dimostrano una serena fiducia nello spirito pacifico di Pechino. Richard McGregor, del Financial Times, con The Party (HarperCollins, 2010) descrive i modi autoritari e misteriosi del sistema comunista cinese. Di taglio analogo The Beijing Consensus di Stefan Halper (Basic Books, 2010), studioso già impegnato nell’amministrazione Nixon e oggi docente al Magdalene College di Cambridge. Inoltre l’ex direttore dell’Economist, Bill Emmot, con Rivals (Mariner Books, 2009) spiega la teoria della nuova Prussia: la Cina sarebbe come la Germania ottocentesca, aggressiva verso i vicini (oggi Vietnam e Taiwan, domani Corea, Giappone, India, Australia) e proiettata a costruirsi un sistema di influenze schiacciante accompagnato da un forte riarmo militare. Proprio come la Berlino che portò alla guerra nel 1914.

Per tornare a Kissinger, l’ex segretario di Stato di Nixon è particolarmente sensibile a questo argomento, e ricorda in proposito il memorandum che un dirigente del ministero degli Esteri britannico, Eyre Crowe, scrisse nel 1907, e nel quale si spiegava come la crescita della potenza tedesca (dalla flotta all’egemonia in Europa) fosse di per se stessa, al di là dei sentimenti pacifici o meno di Berlino, una sfida all’impero britannico che avrebbe portato al conflitto.

Il vecchio diplomatico americano ritiene tuttavia che costruendo una Comunità del Pacifico, lavorando sulle singole questioni con spirito pratico, tenendo conto della lezione devastante della stessa Prima guerra mondiale così ben prevista da Crowe, sarà possibile evitare che la mancanza di un vero equilibrio mondiale determini un conflitto. Ben avvertito sui rischi, Henry Kissinger sostiene che si può evitare di ripetere le catastrofi del passato. Qualche critico sostiene che, mosso da questo lodevole obiettivo, per eccesso di realismo egli dimentichi troppi drammi passati e attuali vissuti dal popolo cinese.


Per non parlare di quelli toccati ai tibetani e alle altre etnie guidate da quella Han.

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