Cronaca locale

Carlo X di Francia in Galleria Il Viaggio a Reims passa di lì

Rimbalza il nome di Claudio Abbado. Il direttore che nel 1984 diresse a Pesaro la prima moderna de «Il viaggio a Reims» avviando la Rossini Renaissance e che presto - è deciso - tornerà finalmente alla Scala. Appuntamento: giugno 2010. Intanto il Piermarini presenta con giusto orgoglio la ripresa del «Viaggio a Reims», lo stesso di Pesaro proposto alla Scala un anno dopo. Il direttore Ottavio Dantone chiede lumi ad Abbado nella sua qualità di padre di quel lavoro che sta a metà tra l'opera e la cantata scenica. Sono solo parole grate nei confronti di chi lo esorta a essere sempre sè stesso. Se stesso come? Dantone, re del repertorio barocco, prende per così dire Rossini alle spalle. Lo retrodata? No, ma aggiunge qualche particolare, ruba qualcosa dal «Comte Ory», l'opera che arriva dopo Reims facendo sua metà della partitura. A tratti ricorre alla prassi. Cerca l'armonia tra i protagonisti: un numero imponente di stelle del belcanto un po' primedonne e un po’ spalle. Luca Ronconi, il grande regita di allora e di ora, ricorda la sua titubanza davanti a una partitura così singolare, a un libretto inconsistente e alle dimensioni ridotte del Pedrotti di Pesaro. Da cui però l'idea del gioco di specchi. Poco spazio in teatro? Benissimo, parte dell'azione si svolge in piazza. Così l'allestimento '84 resta unico e tanto anomalo da risultare inimitabile. In fondo, Ronconi lo rifarebbe tale e quale. Intanto l'assessore alla cultura Massimiliano Finazzer Flory è fiero di aver reso possibile l'osmosi Scala-piazza. Di avere cioè spalancato le porte del fortino arroccato e inespugnabile, di aver fatto un «omaggio aristocratico a una città democratica». Perché, alle otto in punto, mentre in teatro attacca la musica, fuori, a Palazzo Marino, Carlo X di Borbone, re di Francia del della «restaurazione», si affaccia al balcone, scende tra la gente con il suo seguito, va a farsi incoronare a San Fedele, torna verso la Scala mentre i vigili bloccano il traffico. Poi si precipita in platea per assistere allo spettacolo che lo celebra. La parte esterna è visibile all'interno su un grande schermo. E, in un certo senso, la parti s’invertono. Ma cos'è il «Viaggio a Reims»? Rossini ha appena scritto l'ultima opera in Italia, è direttore del Théâtre Italien di Parigi, gli viene commissionato un lavoro in occasione dell'incoronazione di Carlo X. Il re «più realista del re», quello che reintegra la monarchia più conservatrice. Tanto da voler essere incoronato non già nella «dissacrata» Notre Dame parigina ma nella cattedrale dei monarchi assoluti, a Reims appunto. Lo spunto narrativo si diverte con i tipi e i tic degli ospiti della cerimonia costretti a restare per strada, al «Giglio d'Oro» di Plombières, per mancanza di cavalli. Festeggeranno a Parigi. Ma intanto si inganna il tempo con sciccherie e vanità. Un Rossini profeta mette assime il jet set di tutt'Europa. Il colore è lo humour, il carattere l'esibizione di duetti, concertati, arie. Insomma, una specie di parodia delle convenzioni melodrammatiche. Il numero di stelle del belcanto è già una bella sfida. Ma a rendere infrequentabile il Viaggio è lo stesso Rossini che, dopo le quattro recite del 1824, ritira la partitura. L'opera si perde. Qualcosa è ripreso in occasione delle barricate parigine del 1848 (Viaggio a Parigi) e qualcosa per il matrimonio di Francesco Giuseppe-Sissi (Viaggio a Vienna). Ma la partitura è irreperibile. Fino a che lo specialista Philip Gossett riesce a recuperarla: un po'dal Comte Ory e il resto, brandello su brandello, da vari archivi. E'appunto l'84 dell'edizione critica pesarese. Il «Viaggio a Reims» alla Scala è dunque davvero un evento. Per interscambio di forze, cast, fedeltà alla versione Ronconi-Aulenti (costumi di Giovanna Buzzi) e memoria della lettura Abbado.

Un evento sorridente e autoironico che, mettendo alla berlina l'Europa dell'Ottocento punta il dito contro tutti noi.

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