Cultura e Spettacoli

«Carmen» bagnata, al via la stagione all’Arena

VeronaPrima, la rituale penombra della sera con i tanti piccoli bagliori delle candeline. Poi, per magia scenica il caldo sole della piazza di Siviglia; poi d’improvviso il buio cupo dell’acquazzone estivo, cupissimo nel rifugio negli arcovoli di pietra, tutti stretti, pigiati, con grida fra spavento ed allegria; e a questo punto lo spettacolo si ferma, e agli inzuppati l’altoparlante annuncia che il servizio meteorologico prevede pioggia. Siamo già nel secondo atto; a norma di legge, l'incasso è salvo. Resta il disagio quasi fisico d'un’opera cominciata e piantata lì, ancora prima della metà.
Così è andata l'inaugurazione della stagione all’Arena, con la Carmen di George Bizet, nella vecchia edizione con la regia di Franco Zeffirelli, che ha dato per quest’anno un nuovo tocco un po’ pomposo alla scenografia, e che si replicherà ancora tredici volte fino al 28 agosto. Alla prima, gli spalti erano gremiti; questa stagione porta sempre una massa di gente dal mondo: una risorsa che, gestita saggiamente, porterebbe anche a un bilancio attivo ragguardevole, e per adesso comunque porta nella città eccellenti fortune. Alla Carmen si intrecciano le diciassette recite di Aida, nel glorioso allestimento ripreso dal 1913, che resta uno dei più concreti e più felici contributi all'arte di Giuseppe Verdi; da fine mese lungo tutto agosto vedremo e ascolteremo anche Turandot, Il barbiere di Siviglia e Tosca.
Carmen prometteva piuttosto bene. Affidata alla direzione di Placido Domingo, garantiva una lunga esperienza non sul podio ma nella partitura. Domingo fra i suoi meriti straordinari di tenore, ha quelli accumulati proprio in questo spartito: quando intona, disperato, «Ma Carmen, ma Carmen, adoreé», dopo averla ammazzata, nell’esecuzione diretta dal grande Carlos Kleiber, ci regala uno dei più misteriosi e intensi momenti di psicologia e d’arte che si possano vivere. Da direttore, insegue con prudenza e una quantità di gesti l’immagine di quello che potrebbe essere il Domingo grande direttore di domani. Forse se si lasciasse un po’ più andare, riuscirebbe a trascinare di più; comunque, tiene i solisti e le masse con bravura professionale.
Lo spettacolo, che qualche anno fa era nato con una grande propulsione, e sotto la malia della protagonista Denyce Graves, sembra avere perso spinta e motivazioni. Qualcuno, nella compagnia riesce comunque a calamitare su di sé l'attenzione: il caso di Irina Lungu, Micaela, che oltretutto canta nitidamente la parte senza quella grazia melensa che le viene spesso appiccicata. Carmen, Nancy Fabiola Herrera, è un’interprete interessante: voce sensuale, però non sfrontata, raccolta in un “legato” adatto all’eleganza francese e alla seduzione universale, si muove bene in scena, dice bene le frasi parlate conservate in quest’edizione, e potrebbe darci eccellenti sorprese in una regia impostata su di lei. Marco Berti, Don José, continua a far ammirare la sua voce di tenore, e a far rimpiangere che generalmente, come anche l’altra sera, non vada oltre questo. All’uscita, qualcuno richiama l’antico proverbio consolatorio creato per le spose.

«Stagione bagnata, stagione fortunata».

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