Politica

Caro Gianfry, a un anno dallo strappo con il Cav ne valeva la pena?

Il 22 aprile 2010 si consumava lo strappo finale tra il premier e il presidente della Camera. A distanza di un anno Fli non ha aggiunto nulla al centrodestra, ma si è inserito nella galassia degli anti Cav

Caro Gianfry, a un anno 
dallo strappo con il Cav 
ne valeva la pena?

"Che fai, mi cacci?". Il dito di Gianfranco Fini puntato contro il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e negli occhi la certezza che si stava consumando lo strappo definitivo. Il Cav da una parte e lui, il presidente della Camera, dall'altra. Era il 22 aprile del 2010. E' passato giusto un anno. Un anniversario che non va festeggiato, ma sicuramente ricordato per tutto il malessere e l'acredine che ha portato in parlamento. E come ogni anniversario bisogna tirare le somme, buttarsi nell'amarcord e tentare di essere intellettualmente onesti da ammettere se la sua strategia è stata giusta, se ha portato qualcosa alla destra italiana o se si è rivelata un buco nell'acqua.

Quella di un anno fa è passata alla storia come la "direzione del dito alzato". I futuristi ci hanno fatto addirittura una maglietta. Perché quella di Fini è stata la ribellione dal tiranno e ha portato alla libertà i suoi fondando Futuro e Libertà. C'è chi parla di "cacciata", chi di "tradimento". I fatti sono che Fini ha preferito passare all'opposizione e stringere patti con il centrosinistra piuttosto che portare un dialogo costruttivo nel Pdl, ha puntato a costruire un partito fondato sulla sua stessa persona (così com'era stato quando aveva affossato l'Msi per plasmare An) piuttosto che contribuire a formare una destra nuova e al passo con i nostri tempi, ha voluto sfidare Berlusconi e rompere gli impegni presi con gli elettori anziché confrontarsi. E' la sindrome della presidenza della Camera. Ne era stato affetto lo stesso Casini. Solo che Fini si è portato dietro tutto uno stuolo di deputati e senatori a lui fedeli per mettere insieme un partito senza anima e radici. Futuro e Libertà, appunto.

In molti hanno guardato al nuovo esperimento della destra con un certo ottimismo. Speravano nel dibattito e nel pluralismo delle idee. In realtà, è bastato poco per capire la direzione che Fini voleva dare alla propria creazione. Fedele Confalonieri aveva detto: "Alla politica un tempo si avvicinavano uomini mossi da grandi ideali. La rivoluzione di Berlusconi ha dato una occasione agli agnostici della politica: uomini sempre rimasti ai margini, stufi dell'austerità e del cattocomunismo, naturalmente di destra anche perché considerati dalla sinistra come baluba, ignoranti, stupidi mentre era in realtà disimpegnati". Contro tutto questo - contro quello che ribattezzò "il partito del capo" - Fini ha mosso la sua sfida politica. E ben presto si è qualificato per quello che era. L'ennesima esperienza di anti berlusconismo militante, disposto a scendere a patti con la sinistra pur di far cadere il Cav e ben lieto di impugnare la bandiera giustizialista per avere il benestare delle procure. "Le nostre idee e la nostra stessa concezione della politica - scrive oggi sul Fatto Flavia Perina, ex direttrice del Secolo d'Italia - sono radicalmente incompatibili con tutto ciò che il Pdl ha scelto di rappresentare in questa sua fase terminale". Secondo la Perina, Berlusconi sta trasformando il Paese in "uno Stato ad personam dove tutto, dal primo articolo della Costituzione fino alla legge elettorale passando per il codice penale e il Parlamento, è al servizio del suo interesse politico ed economico". Ed è significativo che proprio il quotidiano di Travaglio sia diventato la sponda naturale di Fini e dei suoi fedelissimi.

Contro il premier e il governo, il presidente della Camera ha sguinzagliato i propri falchi. Avevano iniziato ancor prima dello strappo finale. Con Italo Bocchino che usava le tribune politiche per attaccare i vertici del Pdl. Una volta compiuta la scissione dagli attacchi si è passati agli insulti. Insulti per difendere Fini dalle accuse sulla proprietà della casa di Montecarlo. L'affaire monegasco ha indubbiamente colpito la credibilità del presidente della Camera che aveva promesso che, qualora fosse emerso che l'appartamento in boulevard Princesse Charlotte appartenesse al "cognato" Giancarlo Tulliani, avrebbe lasciato lo scranno più alto di Montecitorio. Così è stato dimostrato dalle carte di Santa Lucia, ma il leader del Fli non ha presentato le dimissioni. Salvo, un giorno sì e l'altro pure, ricordare che tutti gli imputati - Berlusconi in primis - devono rispondere delle accuse davanti alla legge. I falchi hanno serrato le fila e difeso a spada tratta il proprio leader.

Ben presto è stato chiaro agli elettori che, per dirla in termini antropologici, l'homo finianus non esiste. O meglio: non esiste nel centrodestra. Quasi tutte le posizioni assunte dal presidente della Camera negli ultimi tempi non possono essere ricondotte all'interno di un pensiero di centrodestra, piuttosto combaciano con un certo tipo di elettorato che simpatizza con il leader del Fli, ma che nelle urna vota il partito giustizialista di Antonio Di Pietro. "Non mi pare che in Europa esista niente di simile alla destra astrale che rappresenta Fini - spiegava Marcello Veneziani qualche tempo fa - è una destra che viene da Marte". I futuristi non hanno, infatti, instaurato alcun legame con i desideri e le sensibilità dell'elettorato moderato. Per questo l'unica agibilità di questo suicidio politico non poteva che essere quella di giocare un ruolo arbitrale. Da qui la necessità di allearsi con Casini e Rutelli e fondare il Terzo polo giocando così una partita che non si inserisce più nel sistema bipolare.

Ai tempi d'oro, Futuro e Libertà era arrivato a contare abbastanza parlamentari da impensierire il centrodestra. Se ne era accorto anche Massimo D'Alema che aveva proposto un laboratorio politico per unire le forze contro Berlusconi. Furono i giorni della Santa Alleanza. Oggi in campo a Latina con il "fasciocomunista" Antonio Pennacchi. Furono i giorni di prove tecniche per una grande accozzaglia trasversale. E lì iniziarono i guai per Fini già indebolito dalla sonora batosta presa il 14 dicembre quando Berlusconi raccoglieva a piene mani la fiducia di entrambe le Camere. Da fuori il tradimento, invece, era visto come compiuto. Non il tradimento nei confronti del Pdl, ma nei confronti dei valori del centrodestra. Come può Fini - si chiedevano, e si chiedono tuttora, gli elettori - sfiduciare il governo con cui è stato votato e pensare di fare un'alleanza con le forze anti Cav? Da quel giorno Fli ha iniziato a perdere pezzi. Uno alla volta. Oggi, in parlamento, il partito di Fini è ridotto ai minimi termini, mentre Fini continua a presiedere la Camera come se fosse casa sua. Un vero e proprio fallimento.

A distanza di un anno, è d'obbligo una domanda: caro Fini, ne valeva davvero la pena? E sei più forte o più debole di prima?

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