Controcultura

«Caro Nicola, scusami se l'immagine pubblica mi obbliga a mentire»

Nel 1954 lo scrittore francese si confessa all'amico italiano

a Nicola Chiaromonte

5 maggio 1954

di Albert Camus

Caro Nicolas,

volevo scrivervi per ringraziarvi della vostra lettera, per l'affetto fraterno che mi avete dimostrato, e anche per la vostra fiducia. Sì, ricordo i nostri incontri in Africa. L'amicizia è una cosa strana. Il giorno in cui siete partito per il Marocco, non sapevo nemmeno se ci saremmo rivisti e pure tutti i casi della guerra propendevano perché non ci ritrovassimo. E tuttavia, mi sentivo «certo» di voi, dell'avvenire che avevamo in comune. Vi avevo riconosciuto ed eravate fra quella decina di esseri con i quali ho sempre vissuto, anche quando ero separato da loro.

A Parigi, ciononostante, durante quei momenti troppo brevi in cui ci siamo incontrati a casa vostra, da me, o con amici, non sono sempre stato libero con voi. Forse temevo un po' il vostro giudizio. Mi sembrava che aveste rinunciato a molte cose, optato per la morale. E io, con la mia vita lacerata, le infinite fragilità che mi riconosco, e in più con questa terribile impressione d'insincerità in cui mi costringeva l'immagine pubblica che mi si imponeva (come se rifiutare che si uccida o si torturi fosse difendere la virtù! Ed è il contrario, naturalmente) e che non avevo saputo rifiutare abbastanza, avevo l'impressione di tradirvi un po', o in ogni caso di non essere sincero con il mio amico, poiché tacevo. Ma come parlare in una vita così precipitosa, così protesa ad ogni angolo dell'orizzonte? C'è così tanto chiasso nel mondo che abbiamo paura di aggiungerne ancora. Ci sono volute queste due disgrazie congiunte per sapere che né voi né io ci eravamo sbagliati l'uno sull'altro.

Capisco, caro Nicolas, il vostro sentimento. Ciò che è insopportabile è essere giudicati, o sentirsi giudicati. Naturalmente, possiamo farci delle nobili ragioni, sapere che lo meritiamo e non siamo nulla, farne un sincero esercizio di umiltà, ciò non impedisce di essere legati, privati di naturalezza e libertà, diminuiti. Eppure, dal momento in cui ci leghiamo, ci impegniamo, accettiamo il giudizio, lo assumiamo su di noi all'occorrenza. Ecco perché l'adulterio, come dice la Scrittura, è una grande disgrazia, per alcune persone, almeno. La fonte della gioia vi è prosciugata, e qualcuno, di sé, dice di no in mezzo alle più grandi felicità e una sorta di segreta oscurità si mescola a tutti i doni. Alla fine, è una fonte di sofferenza per tutti, là dove c'era lo sforzo verso un'innocenza, un amore più nuovo e più vero.

Solo alcuni esseri, privilegiati, sanno non giudicare mai. Sono una fonte di libertà, ci liberano nel pieno significato della parola ed è per questo che l'amore che portiamo loro si colora di una meravigliosa gratitudine. Che disgrazia e che strazio allora quando si trovano mescolati, in fondo per caso, ad una vita già soggetta ad altri legami, altrettanto forti, anche più forti perché ragionati, altrettanto ricchi e rispettabili, ma senza l'ingenua libertà, immediata, un poco irresponsabile, di cui tutti sogniamo, uomini e donne, ma soprattutto uomini!

Sì, vi capisco e vorrei aiutarvi. Ma so che si è miseramente soli in questi casi.

Il solo aiuto è sapere che un amico vi ama e vi stima fedelmente, sapendo tutto ciò che siete, e testimonia per voi nel suo cuore.

Commenti