Cultura e Spettacoli

Carola Susani nel corpo del disagio

Il corpo lo si può riattare, certo. E ci si interviene sopra per aggiornarne le forme. Ma non serve a niente, se a governarlo sono pulsioni disforiche: diventerà comunque il ricettacolo di spinte ottuse, lesive. E accuserà il mondo d’essere la causa permanente del proprio danno. Tenterà perfino di abolirlo, quel mondo. O di riadattarlo introiettandoselo simbolicamente. O annichilirlo, rifiutando tutto quanto proviene da lui. Anoressie, bulimie, aggressività riflesse, apatie, malattie più o meno somatiche risultano varianti d’una unica, tetra visione fondamentale. Lo spettro dei percorsi «maligni» è, allora, amplissimo.
E il corpo come radice dura del disagio è, in fondo, il vero protagonista dei racconti di Carola Susani riuniti in Pecore vive (minimum fax, pagg. 142, euro 9,50). Ammalato o gravido o massacrato dall’esistere o già schizoide, resta il centro d’un male interno che orienta i movimenti delle persone, li dirige. Certo, sono persone attraversate da infelicità diffuse, irriflesse. Figure stralunate. Ma il lato estremo, paradossale dei racconti della Susani sta nel fatto che sono proprio le personalità più alienate, alla fine, a risultare in possesso di risorse inattese. Capaci a governare l’ingovernabile perché, di fatto, accettano che vita e corpo facciano il loro corso. E si adattano a malattie, deformazioni, follie incombenti, degrado, fatica. Insomma: Carola Susani ci racconta di microtitani che non lottano per mantenere saldo e fermo un io, o salvarsi un’anima. Al contrario, compiono il gesto più difficile, tosto, eroico, espropriante: assumono l’esistere per quello che è. Discenderanno nei loro inferni, non risaliranno mai. Toccheranno la soglia minima della sopravvivenza e lì resteranno. Tutto, certo, andrà avanti all’insegna del disagio. Ma andrà avanti.
Ecco, per la conoscenza di queste soglie estreme della vitalità e di quanto rimane un attimo prima o immediatamente dopo il crollo, per saper entrare in zone devastate e riferirne con precisione chirurgica, Carola Susani dimostra d’essere scrittrice di alta attendibilità. Conosce la materia di cui parla. Non ha bisogno di accentuare l’orrore quotidiano, surrogare il dolore con toni alti, portarlo a farsi spettacolo. I suoi personaggi sono sommersi dal degrado. Ci nuotano dentro. Ma come si nuota nella storia brutta e vera, non nella fictio. Per questo, forse, racconta usando una prosa fatta di frasi minime, brevi, secche. Ricordando così la tecnica povera, asindetica di qualche cronica medioevale: stanno lì, e non nella grande prosa d’arte, i suoi modelli lontani. Se essere aderenti alla vita è ancora un bene per chi scrive, Carola Susani è probabilmente l’autrice più forte della sua generazione.

Se invece, con pieno diritto, di quella stessa vita si preferiscono le rappresentazioni eccessive, teatrali e, in fondo, ricolorate e consolatorie e allontananti, si legga altro.

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