Controcultura

Casanova, De Sade e compagni. La seduzione è sempre in pagina

Ecco alcuni dei passi più irriverenti e censurati della letteratura. Perché il vero libertino non desidera i corpi, ma infrangere i limiti

George Gordon Byron
George Gordon Byron

Per gentile concessione dell'editore Liberilibri, pubblichiamo qui alcuni passi tratti dalle pagine antologiche del volume "Libertini, libertine. Avventure e filosofie del libero amore da Lord Byron a George Best (pagg. 222, euro 17, a cura di Cesare Canà).

Giulio Cesare Vanini da Le meraviglie della natura, Dialogo XLVIII Sul tatto e sulla stimolazione.

ALESSANDRO Il godimento (tappatevi ora gli orecchi, ragazzi allievi del pudore, voi che quelle parti nobilissime della Natura chiamate «vergogne», quando invece si tratta degli organi maestri e artefici della procreazione), il godimento, dicevo, che si prova nell'atto amoroso deve essere ricondotto specificamente al tatto?

GIULIO CESARE Così dice Fracastoro. Tuttavia, è detto con poco senno, giacché se il seme viene toccato con la mano, che è il punto di sensibilità massima dell'uomo, non produrrà alcuna stimolazione, né d'altro canto alcun godimento. (...)

ALESSANDRO Dunque qual è la tua opinione in merito?

GIULIO CESARE Io direi convintamente che il godimento d'amore è un sesto senso, il quale non si origina dal tatto, sebbene senza questo sia arduo raggiungerlo, bensì dallo spirito. Per questo motivo chi si dedica così tanto al coito da non riuscire più a secernere seme, sebbene tale coito sia infruttuoso, gode ancora. Lo stesso Aristotele asserisce che noi siamo stimolati essenzialmente dallo spirito, cosa che ognuno può sperimentare, di solito a partire dai tredici anni. Inoltre, anche da desti il seme involontariamente può fuoriuscire senza darci per questo necessariamente godimento; dunque, non dal seme, ma dallo spirito che mette in atto la stimolazione ha origine il godimento.

***

Marchese de Sade, da Justine ovvero le sventure della virtù.

«Caspita!», disse, «sei proprio scema! Per una volta che puoi rendere un servigio a quattro bei giovanotti, tremi così?». Dopo un attimo di riflessione aggiunse allora: «Senti, questi energumeni mi danno retta. Ma devi meritartelo, se vuoi salvarti».

«Oh sì, signora, vi prego, ditemi cosa devo fare, sono pronta», le dissi in lacrime. ()

In breve fui come desiderava, e con le braccia a terra. Uno di quei libertini mi trattenne le spalle e mi impedì di barcollare sotto gli urti di quello che intanto la Dubois stava facendo con il palmo della mano a uno di loro, simile all'ariete contro le porte delle città assediate, colpi talmente forti che quasi mi lasciarono il livido.

«Non capisco come preferisca questo che aprirci le sue porte», dice Cuore di Ferro ansimando, «più forte, Dubois, più forte!» E l'esplosione infuocata di quel mostro andò contro quanto era molestato, ma non violato, violento come un fulmine.

Il secondo mi fece mettere in ginocchio tra le sue gambe, mentre la Dubois lo soddisfaceva come aveva fatto prima con quell'altro. Era molto impegnato sia a colpire le mie guance che il mio seno; e contemporaneamente la sua bocca putrida scavava nella mia. Il seno e il volto mi diventarono subito rossissimi. Stavo male, gli chiedevo pietà, le mie lacrime grondavano dai miei occhi sui suoi, tanto che lo infastidirono. Moltiplicò la violenza, mi morse la lingua, e le fragole del mio seno erano così abusate che caddi all'indietro, ma qualcuno mi trattenne. Mi risospinsero su e mi toccò in ogni dove, finché raggiunse l'estasi voluta.

Il terzo mi fece salire su due sedie messe l'una lontana dall'altra; accovacciato al di sotto, eccitato dalla Dubois che gli stava tra le gambe, mi fece inclinare finché la sua bocca fu giustapposta al tempio della natura (...).

Il quarto mi legò corde dappertutto, tenendone il capo nella mano, mentre la Dubois lo eccitava con palpazioni e baci; io stavo in piedi davanti a lui, a sette-otto piedi; e lui, troglodita, provava piacere tirando ogni volta una corda. Io cadevo, perdendo l'equilibrio, e a ogni mio tonfo lui si eccitava. (...) Ecco quello che ho dovuto subire. Ma almeno il mio onore fu rispettato, anche se non fu rispettata la mia dignità.

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Julien Offray de La Mettrie, da L'arte di godere.

Ormai sarà ineludibilmente assegnato alla vuotezza di un cuore senza più dolcezze o desiderî: vuotezza atterrente, che tutti i gusti, tutte le arti, tutte le sregolatezze non potranno mai supplire! Che io senta almeno, talvolta, la fascinosa prossimità del più degno degli dèi, segno consolatorio d'una amante dispersa, simile alla stella del mattino che si mostra brillante al preoccupato Nocchiero! Oh Piacere, piacere ingrato, è dunque così che tratti chi ha sacrificato a te ogni cosa? Se i miei giorni nella voluttà sono stati giorni persi, oh restituitemeli, grandi dèi, cosicché io possa perderli ancora! Sono invidioso della tua felicità, pesca troppo felice. La Natura ti ha trattato da madre, e l'uomo invece da matrigna. () Godiamo di quei pochi momenti che ci lasciano. Beviamo, cantiamo, amiamo chi ci ama; che giochi e risa seguano i nostri passi; che tutte le voluttà vengano d'attorno a noi, per allietare, talvolta per incantare le anime nostre; così, per breve che sia la vita, noi l'avremo almeno vissuta. Il seguace della voluttà ama la vita, perché il suo corpo è sano, e il suo spirito libero, senza pregiudizi, Amante della Natura, ne adora le bellezze perché ne conosce il valore; impermeabile alla nausea, egli non comprende come questo fatale veleno possa infettare i nostri cuori. Dimentico della Fortuna e dei suoi capricci, la sua fortuna è lui stesso. Dimentico dell'ambizione, non ha che quella di essere felice. Dimentico dei tuoni, lui, Filosofo epicureo, non è terrorizzato dalla morte più di quanto lo sia da un fulmine. Gli alberi depongono il loro verde, e lui serba il suo amore. I fiumi si fanno marmo, un perfido gelo ghiaccia finanche le viscere della Terra, incandescenti dei fuochi dell'estate. Ma se è a letto con la sua adorata Delia, la rigidità d'inverno, il vento, la pioggia, la grandine, lo sconvolgimento degli elementi non fanno che aumentare la felicità di Tibullo. Quando il mare è calmo e tranquillo, il seguace della voluttà non vi vede che quella bella tavola d'olio, quale perfetta immagine della quiete. Quando i soffi minacciosi di Eolo sbattono le navi mettendole in pericolo, egli contempla quel tumultuoso quadro in movimento, per quanto terrificante. Non è quella un'occasione verso cui corra volentieri la voluttà. Per il seguace della voluttà, tutto è piacere. A ogni cosa sensibile, tutto può essere estasi per lui. Ogni creatura inanimata gli parla, lo risveglia; ogni essere animato lo scuote; ogni parte del Creato lo colma di voluttà.

Giacomo Girolamo Casanova, dalla Storia della mia vita Volume I, capitolo XII

Entrai nel letto per primo. Non parlammo. Ci inondammo di baci. E io raggiunsi l'apice del godimento senza aver avuto nemmeno il tempo di procacciarlo. Nessuna certezza data dagli occhi o dalle mani poteva fornirmi una prova più certa di quella datami dalla mia vittoria. Rimasi lì, a rimirare quel viso illuminato da dolcissimo e puro affetto. Passò un attimo, e un fuoco nuovo ci incendiò i sensi, e lo spegnemmo in un altro mare di piacere. Bellino dava tutta se stessa, quasi a farmi dimenticare ogni problema, saziando ogni impeto che le sue forme suscitavano. E il godimento che le davo raddoppiava il mio: per quanto mi riguarda, il mio godimento è rappresentato per quattro quinti dal godimento della donna. () Fu poi il tempo di una tregua necessaria, dopo lo scatenarsi dei nostri giochi d'amore. Bellino ruppe il silenzio. «Caro», mi fece, «ti è piaciuto? Ti sono sembrata appassionata al punto giusto?». «Appassionata? Mentitrice che sei. Allora? Non mi ingannavo quando dicevo a me stesso che sembravi una bella donna.

Ma se ti piacevo davvero, come hai fatto a procrastinare così lungamente la nostra felicità? Di sicuro, non mi sbagliavo, comunque».

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