Caso Abu Omar, segreti e paradossi

Francesco Cossiga*

Era terminata da pochi minuti la seduta del Copaco (Comitato Parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e le tutele del segreto di Stato), e già le agenzie di stampa davano notizia dei contenuti dell’audizione presso il Copaco del «girotondino» procuratore aggiunto della Repubblica di Milano Armando Spataro, in ordine al procedimento penale sul noto caso del rapimento dell’imam Abu Omar.
Non si tratta di illazioni, ma di notizie illecitamente divulgate perché, come tutti sanno, le audizioni presso quell’organo bicamerale sono coperte da segreto e non possono essere oggetto di divulgazione. Nelle valutazioni della media si dà per implicito un falso problema. Da un lato ci troviamo di fronte ad attestazioni e osservazioni provenienti nel tempo da governi di diversa espressione politica su fatti spesso talmente «sensibili» e rilevanti per la tutela del pubblico interesse nazionale da aver indotto all’opposizione del segreto di Stato, notificato anche all’Autorità giudiziaria, a tutela di un pubblico interesse che evidentemente ha pregnanza superiore allo stesso diritto di difesa esercitabile dai singoli indagati. Abbiamo, poi, le dichiarazioni di una parte processuale: un pubblico ministero personalmente interessato allo stesso provvedimento, almeno quale potenziale parte lesa. E talune attività (intercettazioni, etc.) sono state probabilmente disposte in violazione di leggi, come io stesso ho avuto modo di rappresentare.
Per altro verso, non tiene in alcuna considerazione l’esistenza del segreto di Stato sugli atti che riguardano il procedimento e che comprovano l’assoluta estraneità dei Sismi, proponendo, invece, dati emergenti da un’attività preliminare istruttoria, tutta da verificare, da sottoporre poi al vaglio della difesa e, quindi, naturalmente, di un «giudice», almeno perché questi si possa esprimere sulla legittimità della prosecuzione di un’azione penale e sulla sussistenza di elementi che possano o no autorizzare un rinvio a giudizio. Le due posizioni vengono paradossalmente poste sullo stesso piano, in sede di Comitato parlamentare, e se ne vorrebbero trarre addirittura delle conclusioni politiche. Ieri ho sporto denunzia alla Procura della Repubblica di Roma contro Spataro e il segretario del Copaco, Emanuele Fiano (parlamentare dell’Ulivo, ndr), per la diffusione del contenuto della audizione del Copaco, coperta da segreto. Ricordo che avevo già denunciato il dottor Spataro e i suoi «complici» alla Procura della Repubblica di Brescia per vari reati tutti imperniati nella violazione del segreto di Stato.
Due problemi giuridici gravi sono all’ordine del giorno: se sia lecito a una procura della Repubblica, attraverso intercettazioni telefoniche e pedinamenti, acquisire notizie coperte da segreto di Stato la cui acquisizione da parte di un giudice o di un magistrato può essere interdetta dall’eccezione di segreto, valutabile nella sua fondatezza solo dal Parlamento. E se, come afferma la Procura della Repubblica di Milano, l’eccezione di segreto di Stato non possa essere opposta da un imputato.
Spero che chi ha riportato tali valutazioni non abbia colto il reale pensiero dei membri del Comitato parlamentare perché, se così fosse, ci troveremmo di fronte a una serie di paradossi. Peraltro, tutto ciò sarebbe avvenuto a seguito del mero interpello di persone tenute a tacere relativamente ai loro atti e ai documenti in possesso: per i vincoli del segreto processuale delle indagini e perché la vicenda è coperta da segreto di Stato; i secondi, per definizione, perché, senza specifico ordine del presidente del Consiglio dei ministri non possono proferire parola su quanto oggetto di detto vincolo.
Ma oggi siamo abituati a vedere di tutto! Vedremo in che termini si esprimerà, quanto prima, il direttore del Sismi nella sua imminente audizione e vedremo, specialmente, che cosa dirà poi il rappresentante del presidente del Consiglio dei ministri, unico ed esclusivo soggetto che su questa vicenda ha davvero titolo a parlare, secondo la legge italiana. Certo, non è bello che i giornali americani si chiedano se la magistratura italiana lavora contro o a favore del terrorismo! In attesa, non mi unisco ai cori preconcetti, o forse anche precostituiti, che appaiono strumentali al raggiungimento di finalità poco chiare. Ho nutrito dubbi in tal senso fin dai primi sintomi dell’insorgere di questa vicenda.

Per amore di verità, per senso di giustizia e democrazia mi applicherò su questi aspetti con assidua vigilanza ed esternerò, senza sconti per alcuno, le mie libere valutazioni.
*Presidente emerito della Repubblica

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