Politica

Il caso L’amarezza di Bondi: con la Biennale sempre più gelo

RUOLI «Un giornale giudica un regista anche in base al suo orientamento, un’azienda fa valutazioni artistiche»

Venezia«Biennale-governo: tutto ok», titola Il Gazzettino, replicando alle saporite indiscrezioni della Nuova Venezia. Ma in realtà, qui al Lido, non ci crede proprio nessuno. Tra il ministro ai Beni culturali Bondi e il presidente della Biennale Paolo Baratta da mesi è sceso un gelo che sarebbe sbagliato ridurre a motivi caratteriali, pure esistenti. La questione è politica (e tutt’altro che locale). Succede questo: il ministero finanzia la Biennale, nelle sue diverse discipline, per circa 18 milioni di euro all’anno, ma poi fatica ad avere voce in capitolo nella gestione, essendo la Biennale pilotata da un presidente, appunto Baratta, nominato dall’ex ministro Rutelli, al posto di Davide Croff, pochi giorni prima che il secondo governo Prodi cadesse. Non basta: per uno di quei paradossi squisitamente italiani anche il consigliere di nomina ministeriale, cioè lo scrittore Giuliano da Empoli, appartiene allo schieramento di centrosinistra. Naturalmente non ha alcuna intenzione di dimettersi, benché oggi, non più rubricabile alla voce «tecnico», faccia l’assessore al Comune di Firenze.
Risultato: situazione congelata fino al 2011. Dal momento che anche i tre consiglieri eletti dagli enti locali, cioè Regione, Provincia e Comune, sostengono Baratta a spada tratta. Incluso Franco Miracco, che pure rappresenta il governatore di centrodestra Galan. Proprio l’altro giorno, sul Corriere del Veneto, Miracco ha ribadito: «Giancarlo Galan sta dalla parte della presente e libera Mostra cinematografica di Venezia e in genere della Biennale di Paolo Baratta, e questo in termini serenamente favorevoli e con giudizi largamente positivi». Più chiaro di così.
Vi chiederete come sia stato possibile arrivare a una situazione del genere, in un crescendo di screzi, ritorsioni, incomprensioni, freddezze. Fatta salva l’autonomia della Biennale, parrebbe auspicabile un rapporto non conflittuale, se possibile collaborativo, tra Ca’ Giustinian e via del Collegio romano, cioè il ministero di riferimento. Invece spira un’aria da grande freddo. Con Bondi che, più che mai indispettito, sembra aver rinunciato a sciogliere il paradosso di cui sopra; e Baratta, già tre volte ministro in governi di centrosinistra, deciso a tirare avanti come se nulla fosse, potendo contare sull’appoggio del presidente Napolitano nonché del governatore Galan.
Qui a Venezia c’è chi ipotizza la messa a punto di un decreto legislativo, insomma di un «grimaldello», volto a riformare lo statuto della fondazione, in modo da far decadere il consiglio d’amministrazione in carica prima della scadenza naturale, addirittura a primavera. Ma, a nome del ministero, il direttore generale per il cinema Gaetano Blandini smentisce l’esistenza di iniziative del genere. «Con l’attuale legge, il cda resterà in carica fino alla scadenza del mandato», aggiunge Blandini, negando «attriti con la Biennale». Parole dovute sul piano diplomatico, nella prospettiva di smorzare la polemica nei giorni finali di una Mostra controversa, al centro di un dibattito, anche politico, piuttosto animato. È un fatto che Bondi, l’anno scorso molto presente al Lido, stavolta sia volato qui solo per assistere all’anteprima mondiale di Baarìa. E in molti rievocano gli attriti - come altro chiamarli? - che hanno punteggiato le vicende relative al Padiglione italiano nel quadro della rassegna sulle arti visive 2009.
Vedremo cosa succederà nei mesi prossimi, quando si dovrà scegliere il nuovo curatore della sezione architettura: c’è da sostituire Aaron Betsky e Baratta non sembra uomo disposto ad accettare consigli. «Sarà un altro pasticcio. Il presidente non negozierà la nomina. O Roma la digerisce oppure si rinnoverà la tensione», assicura un esperto del ramo. Magari sarebbe stato tutto più semplice se Baratta, manager di indubbio valore ma di piglio autoritario, avesse rimesso formalmente il mandato nelle mani di Bondi nel maggio 2008.

Per sensibilità istituzionale, come s’usa dire.

Commenti