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Caso Mills, se i giudici vogliono la sentenza soltanto per sfregio

La nostra normativa prevede l’appel­lo anche in caso di assoluzione, figuria­moci di condanna. Inutile quindi l’ac­canimento per ottenere una sentenza non definitiva, se non per sfregio

Caso Mills, se i giudici vogliono la sentenza soltanto per sfregio
Finalmente è tutto chiaro, non son più voci. Ruby, egiziana o marocchina poco importa, non poteva esse­re accolta in una casa per mino­renni, per indisponibilità di po­sti. La dichiarazione, importan­te, è degli esponenti della que­stura, interrogati dal tribunale di Milano. La pubblica ministe­ra di turno era stata dunque in­formata della situazione e ave­va richiamato gli agenti a tratte­nere la ragazza in questura, su una sedia, dalle 3 alle 7 del matti­no. Una soluzione umanamen­­te meno rispettosa, vista la fragi­lità della ragazza, di quella scel­ta dai rappresentanti della que­stura che hanno interpretato la norma in modo scrupoloso: se si presenta un adul­to che possa garantire l’ospitalità per la ragazza, essa gli può essere affidata. Non c’era un’ipotesi di reato che preve­desse il fermo, perché, ad evidenza, se in stato di fermo, Ruby non si sarebbe potuta liberare neanche alle 7.

Nessun favore è stato fatto a Berlu­sconi, nessuna concussione patita: la ragazza, strepitante, disturbava e gli agenti non vedevano l’ora di liberarse­ne. Potevano mai sperare in Babbo Na­tale? Trattenere la ragazza è grottesco. È sadica l’idea di lasciarla seduta ad aspettare l’alba per poi rilasciarla. Se non c’è un reato per stabilire un fermo, mi pare più che logico che un adulto possa offrire garanzie di tutela suffi­cienti.

L’unica anomalia è la garanzia, attra­verso un consigliere regionale, da par­te del presidente del Consiglio che, con il suo governo, è il massimo responsabi­le della sicurezza.

D’altra parte che Ruby non fosse una prostituta ma un’amica, eventualmen­te mantenuta, è dimostrata dal fatto che aveva il numero di telefono di Ber­lusconi e poteva, legittimamente, da extracomunitaria, chiedere aiuto a lui. Per tutto questo è stato istruito un processo senza senso. Dev’essere una prerogativa del tribunale di Milano che non accorda la prescrizione per il processo Mills (nella foto, l’avvocato in­glese), nell’impossibilità di arrivare a una sentenza definitiva, essendo ogni grado di giudizio un’ipotesi non defini­tiva d’innocenza o colpevolezza.

La nostra normativa prevede l’appel­lo anche in caso di assoluzione, figuria­moci di condanna. Inutile quindi l’ac­canimento per ottenere una sentenza non definitiva, se non per sfregio.

Ma la ratio di un processo non può es­sere se non nel compimento dell’inte­ro iter giudiziario. Avanzare nel vuoto è inutile, dannoso ed è forse anche un reato contro l’amministrazione. In ogni caso la prescrizione si misura in termini matematici: non è un’opinio­ne, è un dato certo. Come ogni scaden­za.

E dalla legge non è prevista proroga. Si può sapere quando il processo Mills sarà prescritto o è chiedere troppo alla maestà dei giudici? Una cosa è certa: es­si devono rispondere soltanto alla leg­ge non ai loro umori. A Milano non sem­bra.

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Rita Borsellino si compiace del mio fallimento. È una gradevole volgarità. Io non ho fallito. Io ho fatto molte cose per la dignità di Salemi, e tutti le hanno viste, non lei che non è mai venuta. In compenso sua cognata, la moglie di Pa­olo, Agnese, è venuta in visita e mi ha chiamato con assoluta serenità «mis­sionario ». Ogni accostamento del mio nome e delle mie azioni a perso­ne che hanno altri pensieri e altri comportamenti, an­che nella stessa area po­litica, equivale ad ac­costare il suo nome a quello di Lusi, l’ex te­soriere della Marghe­rita eletto con il Pd, lo stesso partito di Rita Borsellino.

Una cosa mi accomuna alla Borsellino: anche i miei genitori sono farmacisti. Ma non fanno politica.

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Massimo Russo, ex magistrato anti­mafia oggi assessore in Sicilia nel gover­no Lombardo, da me chiamato in cau­sa per avergli ricordato di essere stato, alle elezioni amministrative di Mazara delVallo, alleato dell’ex Dc Pino Giam­marinaro, indagato da Russo quan­d’era pm a Marsala, ha negato di cono­scerlo. Io ho semplicemente detto la ve­rità. Mi dispiace smentirlo in quella che potrebbe essere una dimentican­za, ma che diventa una bugia inaccetta­bile per l’ex magistrato orgoglioso e per il politico, dal momento che io so­no testimone di un incontro tra lui e Giammarinaro. I due hanno lun­gamente parlato, poco dopo la mia elezione a sindaco, all’aeroporto Falcone e Borsellino. Può confer­marlo la moglie di Rus­so, perché mentre lui parlava con Giamma­rinaro, io sono rima­sto a discutere, piace­volmente, con lei.

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Avviso a Francesco Merlo: l’ambasciatore Umberto Vattani, padre di Mario, console a Osaka, non ha una motocicletta e neppure una tu­ta di pelle nera. In compenso, motoci­cletta e tuta aveva Che Guevara.

Mario Vattani è l’unico diplomatico italiano a parlare correntemente il giapponese.

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