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Le cattive abitudini dei campioni

Accadde nell’Ottantadue, al ritorno dal trionfo di Madrid. La scena si sta ripetendo pari pari al rientro da Berlino. Allora gli juventini campioni del mondo, sette su undici, per la prima volta nella storia dell’era Boniperti, fecero perdere le staffe al loro presidente e diedero vita a un clamoroso strappo durante il canonico ritiro di Villar Perosa. Questione di soldi, naturalmente. E di sostanziosi ritocchi reclamati dai prodi e giudicati fuori dal budget bianconero. La stessa scena avvenne anche a Milano, nella sede dell’Inter dove persino Evaristo Beccalossi chiese un adeguamento di stipendio alla notizia del premio garantito al mundialista Oriali. Solo che finì dentro una trappola infernale architettata da Mazzola e Beltrami. Il tandem nerazzurro dell’epoca, ribattezzato il gatto e la volpe al contrario del duo milanista (Rivera e Sandro Vitali) chiamato invece il gatto e il gatto («non c’è la volpe» la battuta folgorante di Giacomini), lasciarono distrattamente sul tavolo una copia «taroccata» del nuovo stipendio di Oriali. Beccalossi lo consultò di nascosto e chiese una cifra appena inferiore a quella del suo sodale campione del mondo. Salvo scoprire, qualche mese dopo, che Oriali guadagnava 120 milioni di più e che il contratto «spiato» sul tavolo era falso.
Un altro calcio, si può dire. Veniamo al presente. Spente le luci della ribalta, è cominciato l’assalto alla diligenza, alle casse dei club. I procuratori hanno preso a battere cassa. La tecnica è quella di sempre: facendo circolare notizie di ricche offerte straniere. Tanto un sito, una tv locale, un giornale a secco di titoli, un’agenzia disposta a rilanciare la notizia, si trova sempre. E il più è fatto. La richiesta di altri soldi, di guadagnare quanto lo straniero super-star è già pronta, impacchettata e comincia la giostra. Ai professoroni che si riempiono la bocca di nuove regole da scrivere, vorremmo sommessamente segnalare un’altra esigenza del calcio italiano. Che attiene al rispetto dei contratti e alla stabilità dei bilanci. Dovesse ripartire, in modo folle e irragionevole, la corsa degli stipendi verso l’alto, ci ritroveremmo tra qualche mese con un altro crac all’orizzonte. E questa volta senza la possibilità di un processo sportivo che possa risanare il deficit. È venuto il tempo di stroncare questo discutibile costume che non è affatto legato all’esodo da retrocessioni. La Fiorentina, per esempio, ha scoperto con qualche legittimo disappunto che Toni, ben prima di volare verso Duisburg, ha trattato il proprio trasferimento con l’Inter di Moratti senza il consenso dei Della Valle.
P.S. Domenica notte, quelli del Tg1 hanno organizzato una edizione speciale e straordinaria di un giochino molto in voga da qualche settimana: il tiro al piccione Milan. Hanno invitato i tre direttori dei quotidiani sportivi più un ex in quota Fiorentina, li hanno messi in uno studio a discutere della sentenza Caf e dei suoi effetti. Ciascuno di loro ha invocato clemenza per la squadra della propria area diffusionale, tutti insieme hanno invocato il massimo rigore possibile contro il Milan. Ma quattro contro uno, nel calcio, non è fallo?

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