Sanremo 2012

Celentano, il finto guru che proprio non sa perdere

Il predicatore che non accetta prediche. Il dissenso? Per lui è prezzolato. Ma la stratega di Adriano è la moglie. Morandi complottista: "Fischi pilotati"

Celentano, il finto guru  che proprio non sa perdere

Qualsiasi cosa faccia nella vita, preferisce farlo con enorme clamore. Nel successo come nella sconfitta. E anche l’altra sera Adriano Celentano ha rispettato il copione, strappando applausi entusiasti quando ha iniziato a cantare e innescando fischi stizziti quando ha ricominciato a predicare. Predestinato per talento artistico a vincere facile, si è condannato per capriccio profetico a perdere tragicamente. Sic transit vanagloria mundi.
Ieri mattina, prima che Gianni Morandi entrasse in conferenza stampa per annunciare estatico gli ascolti-record dell’ultima notte del festival, Celentano gli si è raccomandato: «Non avere toni trionfalistici, perché bisogna anche saper vincere». Dimostrando, nel denunciare un immaginario complotto organizzato contro di lui all’Ariston, di non sapere, più che altro, perdere. Essere fischiati, per un cantante è terribile. Per un predicatore, è inaccettabile.
Apocalittico ma perfettamente integrato nel sistema e relativista dogmatico in dialogo soltanto con le proprie verità, Celentano è rimasto vittima dello stesso pubblico-mostro che ha addestrato per anni. Investitosi del ruolo di «Re degli ignoranti», è stato messo a tacere da coloro dei quali pretendeva essere la voce. Divorato dallo stesso populismo di cui si è abbondantemente cibato.
Adriano Celentano sul palco dell’Ariston ha tirato la corda della demagogia, rimanendone strozzato. Sconfitto da un dissenso plateale, ha imputato i fischi a un’inesistente anti-clac prezzolata. Peggio di non voler accettare una contestazione, c’è solo il non riuscire a capirla. E Celentano, l’altra sera, non ha capito ciò che era accaduto in settimana sui giornali e nel Paese, e ciò che stava accadendo all’Ariston, tra il pubblico e dietro le quinte. Cioè che ormai era fuori registro e fuori contesto.
Fustigatore di costumi nazionali finito con l’essere fustigato sulla piazza televisiva più nazional-popolare che c’è, lo show-man è solo l’ultimo esempio di contestatore che ha paura della contestazione, un urlatore che non gradisce le urla, rockettaro che non sopporta chi fischia. Che censura i giornali, ma non accetta correzioni.
Anche i grandi predicatori mediatici devono sapere che la facoltà di dire ciò che si vuole è proporzionale a quella di accettare le proteste di chi non vuole ascoltare. E che la libertà è qualcosa che prima di pretendere per se stessi è necessario garantirla agli altri.
Difeso strenuamente dal ristrettissimo cerchio magico del Clan, Celentano per un’amplissima fetta del Paese è considerato oggi indifendibile, da destra a da sinistra, dai cattolici e dai laici, dall’intellighenzia da salotto e dal popolo televisivo. Anche Mauro Mazza, che ha tentato una difesa d’ufficio sostenendo che «Celentano non è Cacciari, e va capito: ha cercato di spiegarsi alla sua maniera», dimentica che infatti Cacciari, che è un filosofo, non va all’Ariston a cantare, mentre Celentano, che è un cantante, non dovrebbe andare in televisione a filosofeggiare. A ognuno, il suo.
E a tutti il proprio destino. Anche quello di non essere più riconosciuti. Come profeti o come cantanti. Il vero coup de théâtre, sabato sera, non è stato quando il pubblico ha detto «Basta!». Ma, poco dopo, quando sul palco dell’Ariston è salito il vincitore della sezione giovani, Alessandro Casillo. Alla domanda di Gianni Morandi «Qual è la canzone di Celentano che ti piace di più?», ha risposto: «Non le conosco».
Che la generazione più giovane - non un ragazzo comune, tra l’altro, ma un cantante che vince il Festival di Sanremo - non riconosca Celentano, significa che Celentano non ha più niente da dire alle nuove generazioni. E purtroppo, sentito il sonoro dissenso di Sanremo, neppure alle meno giovani.
Speriamo che Celentano non ci ricaschi e che l’abbia capito.

E se così non fosse, Facciamo finta che sia vero.

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