Politica

Il centrosinistra ai giudici: «La battaglia ormai è persa»

Bocchino (Pdl): «Dialogo possibile, purché il Pd si affranchi dall’Anm»

da Roma

Nel penultimo week end di agosto, a tenere banco è la necessità del dialogo tra maggioranza e opposizione sulla riforma della giustizia. Nonostante, aveva ricordato proprio al Giornale il capogruppo dei deputati del Pdl Cicchitto, la maggioranza abbia «una linea ben chiara». Come conferma anche Niccolò Ghedini, che ricorda come si stia «lavorando per una riforma condivisa, metodo ben lontano dalle accuse rivolte dall’Anm alla maggioranza». Proprio per questo, fanno sapere dal Pd, la discussione non può avvenire sotto gli ombrelloni, «a colpi di annunci» o sulle pagine dei giornali, bensì in Parlamento. Il luogo dove poter «verificare le proposte su cui esprimeremo le nostre opinioni» ricordava ieri dalle pagine de Il Tempo il vicepresidente dei Senatori, La Torre.
Apertura al confronto che il guardasigilli ombra Tenaglia «circoscrive» a tutto ciò che «migliora l’efficienza della Giustizia» e che chiude, drastico, non appena si parla di separazione delle carriere. Un atteggiamento che, su Avvenire, in qualche modo condivide anche Giuseppe Ayala, per tre legislature deputato col centrosinistra, per cui non è necessario partire da qui «se il problema della maggioranza è migliorare il servizio della giustizia» nel qual caso la prima mossa è «riformare il processo civile e penale». E non è zucchero la sua idea dell’Associazione nazionale magistrati. Falcone, ricorda il pm del primo maxiprocesso a Cosa nostra, disse che l’Anm già vent’anni fa «si era ridotta ad un organismo diretto alla tutela degli interessi corporativi» e sempre meno «il luogo di affermazione della giurisdizione». Parole pronunciate «da un signore che si chiamava Giovanni Falcone», conclude, «ed è marginale il fatto che io sia totalmente d’accordo. Ma sono d’accordo».
Una riflessione a cui invita anche il vicepresidente dei senatori Udc e responsabile giustizia del partito, Michele Vietti. Per cui la risposta che il Paese chiede alla politica è rappresentata da un sistema giudiziario efficiente. Motivo per il quale se è dannoso riproporre modelli del passato, è altrettanto deleterio «difendere lo status quo affiancando interessi corporativi».
Una discussione, quella sulla giustizia, che però, a sentire il presidente emerito Francesco Cossiga, se è sterile poco ci manca. Perché in Italia «la sola riforma possibile è quella scritta dai magistrati». All’opposto i timori di Monaco (Pd), per cui scorrendo le pagine della stampa e le opinioni dei politici «sembra che Berlusconi abbia già vinto la sua battaglia sulla giustizia». Una vittoria «culturale e comunicativa prima che politica». Invano, sottolinea, personalità accademiche come Barbera, Grosso e Grevi hanno spiegato che la riforma si può fare senza modificare la Costituzione e che il vero problema è lo snellimento dei processi. Al contrario, sta passando una sorta di resa delle opposizioni «subalterne», in cui «chi difende i principi costituzionali è contro il dialogo», dove il dialogo significa arrendersi «all’ossessione di Berlusconi come firma in calce a già scritte». Intanto dal Pdl Italo Bocchino accoglie con favore le parole di Tenaglia e chiede al Pd di affrancarsi dall’Anm avviando una stagione di confronto, mentre il portavoce di Fi, Capezzone, invita il partito di Veltroni a «non perdere l’occasione» di contribuire alla riforma della giustizia. E se il ministro Rotondi chiama al dialogo «l’opposizione non giustizialista», Donadi dall’Idv ammonisce la maggioranza dichiarando il no secco a «inciuci sulla giustizia» e alla sua «sottomissione al potere politico».

Chiude, tranchant Goffredo Bettini (Pd), appena sceso dal bus «Salva l’Italia»: «Prima di parlare di giustizia si risolvano i problemi economici della gente».

Commenti