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Ceretto, l'universo langarolo

C he mondo, quello Ceretto. Una famiglia che potrebbe mostrare i muscoli per quello che ha costruito negli anni, ma che - piemontesamente - «non si osa», per understatement e senso della misura.

Ceretto è le seguenti cose: distribuzione di vini francesi, austriaci, tedeschi, ungheresi (un nome per tutti il mitologico champagne Salon) e di distillati; la produzione del torrone Relanghe con la nocciola tonda gentile che è una dei vanti delle Langhe; la ristrutturazione della cappella del Barolo a Brunate da parte degli artisti Sol LeWitt e David Tremlett che rappresenta solo la più visibile espressione della collaborazione con il mondo dell'arte che rappresenta una delle tante vocazioni familiari; un paio di gesti architettonici forti come il cubo di vetro di Bricco Rocche e l'Acino a Monsordo; il ristorante tristellato Piazza Duomo di Enrico Crippa con tanto di enorme orto di servizio (ne abbiamo parlato una settimana fa su Retrogusto), la più semplice e vicina Piola ad Alba; le poche elegantissime stanze sempre ad Alba per gli ospiti.

Tutto però alla fine è nato dai vini. Che restano il «core business» aziendale anche se uno rischia di trascurarli. Ne abbiamo riassaggiati un po' (la carta è vasta) nel corso di una visita recente. Abbiamo fatto una «orizzontale» dei cru di Barolo del 2015 (con il Bricco Rocche una spanna sopra al Brunate, al Prapò, al Bussia, mentre il Cannubi fa gara a sé), adorato i due Barbaresco Asili e Bernadot (entrambi bio). Assaggiato trovandoli sempre magnificamente a fil di mercato il Dolcetto d'Alba e il Nebbiolo d'Alba. Non abbiamo avuto il tempo per i Langhe doc Monsordo bianco e rosso, quest'ultimo unico blend aziendale.

Ma quello che più ci ha stregato è il senso profondo dell'accoglienza e della «restituzione» che hanno Roberta Ceretto, che ci ha fatto da guida, e tutti i componenti di un clan in cui le differenze sono risorse e non tronchi di traverso.

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