Politica

CHE COSA NASCONDE LA STRATEGIA DELL’ALLARMISMO

Non c’è pausa estiva per la paranoia che percorre e informa la sinistra italiana e i suoi giornali cocchieri e padroni, La Repubblica naturalmente in testa, essendo l’Unità ridotta a poca e inascoltata cosa, ma state attenti all’ascesa irresistibile de La Stampa, restituita rapidissimamente da Mario Calabresi a ideologia d’antan, che con la Fiat e con la borghesia illuminata di Torino dovrebbe andare d’accordo come l’aceto con i maccheroni. Misteri d’Italia, poteri forti in caduta libera, oppure vecchia storia di poteri che forti sono solo sulla carta e che rimpiangono i prodini assistenziali in vece delle riforme liberali.
Resta, nel leggere certi editoriali, e il domenicale di Eugenio Scalfari il fondatore, ne è il principe nella sua logorrea impenitente e nella sua chiamata alle armi contro la deriva d’Italia - lo faccio da quindici anni, ammette anche lui, invano, aggiungiamo noi - la noia, il fastidio, e una qualche apprensione per la rappresentazione vile e bugiarda del Paese, del governo, del presente di noi italiani in estate, del nostro prevedibile futuro d’autunno, a vacanze terminate e inizio di anno nuovo. Sentite che frasi usa Scalfari, asterischi ed eccesso di autocitazioni scremati per quel che si riesce: «Domenica scorsa scrissi che questa situazione di disfacimento e di secessione silenziosa richiede il lancio di un allarme rosso che blocchi la deriva e metta in campo tutte le energie positive, latenti ma disperse, e le riporti in campo. Ripeto quel mio invito. È il momento che queste energie potenziali entrino in scena, si manifestino, usino gli strumenti che ci sono per costruirne altri più appropriati ed efficaci. Temo che non ci sia tempo da perdere. L’abbiamo detto tante volte in questi quindici anni e anche prima. Purtroppo era sempre vero ma questa volta è più vero che mai».
Che cosa, di grazia, era sempre vero, a parte la prosopopea? Che cosa faceva quindici anni fa Scalfari? Rosicava, come si dice a Roma, si rodeva, perché la distruzione a colpi di magistratura complice di tutto quel che costituiva la Prima Repubblica, il cattivo e anche il buono, soprattutto l’occultamento sapiente della fine del ruolo del partito comunista, era andata a finire male, come una maionese montata da quel tale Antonio Di Pietro, do you remember, e Silvio Berlusconi ci aveva salvato. Io credo che i prezzi pagati siano stati alti, ma almeno in quelle grinfie gli italiani non sono finiti, e il tempo per rivalutare quel che c’era di buono, a partire dal riformismo preblairista, praticamente pre qualunque riformista, di Bettino Craxi, non ci mancherà. È già così.
Che cosa turba oggi ancora e così profondamente Eugenio Scalfari, piuttosto che Ezio Mauro, e Carlo De Benedetti, e, insisto, Mario Calabresi, che è diventato il primo, ma non certo l’unico, di una bella serie di repubblichini doc? Li turba non essere sicuri di aizzare, di spaventare, di organizzare quell’autunno caldo che la sinistra radicale, altrettanto sparsa di quella istituzionale, ma almeno più sincera, va vagheggiando da qualche mese, in tandem con la tentata campagna di denigrazione del presidente del Consiglio e del suo esecutivo. Maestro di cerimonie ancora una volta quell’Antonio Di Pietro che ora fa il leader politico, che non si perita di aver chiamato il suo movimento mettendoci dentro tanto la parola Italia che la parola Valori, che già da un po’ ci propone un futuro prossimo venturo nel quale la minaccia è doppia, lui e i suoi nelle piazze, le Brigate rosse dietro le armi.
Sciocchezze, potremmo rispondere, archiviando certe minacce e allarmi nel novero del metodo nuovo e triste di far politica di un’opposizione gravemente malata. Eppure non riusciamo a non sentirci inquieti, per il metodo infame, sempre lo stesso, le calunnie e i fantasmi delle paure al posto della sana battaglia politica; e per il merito, l’agitazione della crisi e della non governabilità del Paese alla vigilia di un autunno che ancora non ci vede salvi del tutto dalla crisi economica internazionale, e dall’eredità pesante di un assistenzialismo cieco. Sappiamo che ci sono categorie sociali deboli e influenzabili sulle quali la disinformazione può fare premio.
Non resta che suggerire a un governo che si è dimostrato forte e fattivo di evitare come la peste le esercitazioni di dibattito estivo, come se il decreto sulla sicurezza, le nuove norme sull’immigrazione, non fossero stati decisi in pieno accordo. Se si vogliono dedicare a conversazioni raffinate e sempre utili alla formazione di un leader politico, scelgano i salotti, le spiagge, il rifugio di montagna, la barca degli amici.
Un giornale invece, soprattutto questo, non può che battere e ribattere sulle informazioni vere ed autentiche, denunciando ogni volta che può le bugie degli altri. No, cari lettori, nessuna badante in attesa che il suo datore di lavoro la metta in regola, c’è tempo fino al 30 settembre, dovrà nascondersi.

Questa è tanto una democrazia che non solo c’è spazio per libera e faziosa stampa, ma perfino per il Tg3.

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