Roma

Ma lo chef Colonna non pensa si possa trattare l’acqua come il vino: «Mio nonno mi diceva: chi ti ha insegnato a berla a tavola?» Minerali, l’ultima frontiera è la carta Pinoli, maître di Beck, ci spiega come abbinare etichette diverse alle varie po

Chiara Cirillo

«Gassata o naturale?». Una domanda ormai scontata per la scelta dell’acqua minerale al ristorante, come del resto una volta era per il vino: «Bianco o rosso?». Poi per quest’ultimo ci si è evoluti e, anche se ancora in qualche osteria capita di sentirsi rivolgere il fatidico e irritante dilemma, qualsiasi locale si è dotato di una carta dei vini, più o meno organizzata. Ma forse è giunta l’ora di osare di più anche per l’acqua. Del resto, se i vitigni italiani sono centinaia e le etichette di vino svariate migliaia, anche le acque italiane sono 230, ciascuna con caratteristiche e gusto differenti. Quindi il gioco del futuro (o del presente?) è provare a abbinare, come si fa per il vino, un’acqua a un piatto in base alle peculiarità di entrambi. Un azzardo? Forse, ma anche un grande divertimento. Basta seguire alcune accortezze, che ci spiega Simone Pinoli, maître del pluristellato ristorante La Pergola dell’hotel Cavalieri Hilton di Monte Mario di quel geniaccio bavarese che risponde al nome di Heinz Beck. Ristorante che, tra le mille sublimi accortezze per il cliente, ha da otto anni una carta delle acque. «Un’idea - spiega Pinoli - ispirata da una dei nostri patrimoni: le sorgenti d’acqua. In Italia abbiamo più fonti di qualsiasi altro Paese e nel nostro territorio accanto a un panorama vitivinicolo di qualità c’è un altrettanto copioso sgorgare di acque che dà vita a minerali caratteristicamente differenti. Ed ecco il perché di questa scelta: diffondere questo prodotto italiano presente nelle migliori tavole internazionali».
Acque da scegliere per curiosità, a seconda dell’origine geografica o del «residuo fisso»: quella quantità di sali residui dopo l’evaporazione di un litro di acqua a 180 gradi centigradi. In base a questo parametro si definiscono i principali quattro tipi di acqua: minimamente mineralizzate con meno di 50 mg, oligominerali dai 50 ai 500 mg, mineralizzate tra i 500 e i 1500 mg e infine ricche di minerali con oltre i 1500 mg. «Nella scelta dell’acqua più adatta questa classificazione è fondamentale - prosegue Pinoli - per aiutare il cliente a capire oltre ai dati chimici anche le eventuali addizioni di anidride carbonica e la regione di provenienza». Insomma scegliere quella giusta richiede una particolare attenzione e quindi al ristorante dobbiamo abituarci all’idea di cambiarla a seconda delle portate? «Non esageriamo, si può cambiare acqua per seguire il gusto del cibo o per pulire il palato o per provarne una sconosciuta». E a casa? «L’acqua minerale va servita fresca ma non ghiacciata e va stappata in tavola. Sicuramente poi è più elegante servirla nella bottiglia di vetro rispetto alla plastica, meglio ancora se offerta in caraffe di cristallo. Inoltre è buona norma tenere qualche bottiglia fuori dal frigorifero per le persone che la preferiscono a temperatura ambiente». Ecco infine qualche suggerimento su come abbinarla ai cibi: «L’aperitivo va con acqua effervescente per stimolare i succhi gastrici. Per i primi piatti andrà bene un’acqua minimamente mineralizzata o oligominerale. Con il pesce serviremo un’acqua con poco sodio, con la carne acqua con abbondanza di sali minerali e anidride carbonica ideali per pulire il palato. Infine accompagneremo il dessert con acqua bicarbonata, ottima per la digestione».
Ma c’è chi dice no. Alle carta delle acque (e a un sacco di altre cose, per carattere). È Antonello Colonna, anche lui ai vertici della ristorazione romana, che per dirci cosa ne pensa ci racconta un aneddoto della sua infanzia: «Quando la domenica si pranzava tutti insieme, mio nonno - anche lui noto chef - a un certo punto guarda me, gli altri nipoti e mi dice: sei un maleducato! Chi ti ha insegnato a bere acqua a tavola? Ebbene questo monito si è impresso nella mia mente e nella mia vita lavorativa. I vecchi saggi della borghesia romana non si preoccupavano affatto dell’acqua, anzi! Questa è storia e certo ad oggi molte cose sono cambiate, ma non è detto in meglio: la carta delle acque, degli oli o addirittura della musica... be’, per me un buon ristorante si riconosce perché non ha musica». Al contrario, lo chef di Labico considera strumento indispensabile per una gourmanderie di classe una ricca carta dei vini (lui ne ha una che supera le mille etichette). Naturalmente anche a Labico si beve acqua e, anche se lo chef predilige la San Faustino, propone tutto il meglio della nostra regione e quindi Claudia, Nepi, Filette e Fiuggi. L’importante è che «il ristorante non diventi una Spa!».

Parola di Antonello Colonna.

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