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Chi nasce in Italia sia subito italiano: è un affare per tutti

Chi nasce in Italia sia subito italiano: è un affare per tutti

Ormai Padre della Patria, oltre che presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano parla con l’au­torevolezza e la saggezza di un buon padre, appunto. E parla ap­punto di figli, quelli degli immigra­ti: che non venga riconosciuta la cit­tadinanza ai bambini nati in Italia da stranieri è un’ «autentica follia, un’assurdità», ha detto il presidente, aggiungendo che ce ne sono «centinaia di migliaia che fre­quentano le nostre scuole », e che da­re loro la cittadinanza è un «diritto elementare». Bene. Giusto.

Del resto andava già in questa di­rezione la nomina di Andrea Ric­cardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, a ministro della Coo­p­erazione internazionale e dell’in­tegrazione sociale. Monti proce­da, dimostrando così che il suo non è soltanto il governo dello spread. Certo, a Napolitano sareb­be stato più scomodo fare simili di­chiarazioni due settimane fa, quando la Lega era al governo, e lo ammette lui stesso, sottolineando che c’è ora «la possibilità di fare in Parlamento quello che non si è po­tuto fare negli anni passati». Infatti Roberto Calderoli ha subito spara­to a palle incatenate: «La vera fol­lia sarebbe quella di concedere la cittadinanza basandosi sullo ius so­li
e non sullo
ius sanguinis , come prevede invece oggi la legge». In­somma la paura del Carroccio è che si «punti ad arrivare a dare il vo­to agli immigrati prima del tempo previsto dalla legge...».

Ma è meglio ragionare in termi­ni di convenienza elettorale, o pen­sare piuttosto alla giustizia sociale e alla giustizia tout court ? « Diritto del sangue» e «diritto del suolo» so­no parole che, dopo un risolino, procurano qualche brividino. Nel 2009 quei minori nati in Italia era­no già 600.000, e aumentano di cir­ca 50.000 unità l’anno: studiano nel nostro Paese, parlano la nostra lingua e i nostri dialetti, in genere non sono nemmeno mai stati nel Paese d’origine dei genitori e si sen­tono italiani. Ce n’è qualcuno an­che in classe con mio figlio: vedo­no gli stessi cartoni, tifano per la stessa squadra, fanno gli stessi gio­chi e - soprattutto - si capiscono al volo perché hanno un humus cul­turale comune. Eppure, per ottene­re la cittadinanza, quei bambini dovranno aspettare di compiere 18 anni e sottoporsi a un iter buro­cratico lungo e complesso, che non sempre ha buon esito. I conse­guenti, gravi, problemi di inseri­mento e di identità sono evidenti e non portano alcun vantaggio.

Certo, non bisogna neanche stra­­fare, come Ignazio Marino del Pd, autore di un disegno di legge per cui «un bambino che nasce in Ita­lia è italiano, punto». Negli Stati Uniti, dove vige una legislazione del genere, si stanno accorgendo a loro spese che esiste una speciale immigrazione delle partorienti, il tempo di scodellare un figlio per farlo nascere americano e via. È chiaro che qualche regola occorre: come minimo essere residenti.
Poi, quando avremo compiuto questo atto di giustizia, potremo anche pensare che, in fondo, fac­ciamo un discreto affare per acqui­sire «nuove energie in una società per molti versi invecchiata se non sclerotizzata».

Parola di Napolita­no, buon padre.

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