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Chi rifiuta il mondo al femminile può sempre convertirsi all'Islam

Ieri il Giornale ha pubblicato un intervento con il quale Alain de Benoist mette in evidenza i problemi individuali e collettivi provocati dalla femminilizzazione della società, il processo che ha reso il nostro sistemadi valori poco "maschile". Al Giornale il dibattito è aperto

Chi rifiuta il mondo al femminile può sempre convertirsi all'Islam

Ma che guaio questa moderna società al femminile. Alain de Benoist, il noto intellettuale francese ideologo della Nouvelle Droite, ha rispolverato ieri su queste colonne un tema da sempre caro alla destra, nuova o vecchia che sia. Ah, che bei tempi quando il Maschio era Maschio. Invece adesso guardate che disastro, donne ovunque, spuntano come funghi, vogliono governare, chiedono potere, pensano, parlano, scrivono e vogliono anche essere ascoltate. Peggio, con il loro infido insinuarsi impongono canoni che ci portano alla rovina. Le conseguenze di una società che «ha adottato integralmente, senza limiti e contro-poteri, valori femminili » (de Benoist cita il pediatra Aldo Naouri) sono la perdita della figura del Padre, l’indebolimento dell’Autorità, il trionfo del narcisismo, la mancanza di Valori. In una parola: la catastrofe.

Niente di nuovo sotto il sole: dai peana misogini di Filippo Tommaso Marinetti (in Come si seducono le donne) fino alle provocazioni di Eric Zemmour (in L'uomo maschio) passando per la psicanalisi cattolica di un Claudio Risé (Il Maschio selvatico, il padre assente eccetera...), gli argomenti per stigmatizzare una «modernità al femminile» sono sempre i soliti. C'è una sola risposta possibile a questi vetero teoremi: ma che guaio una società dove il maschio ha bisogno di mostrare la propria virilità.

A de Benoist non piacciono un sacco di cose di questo nostro mondo. È comprensibile - pur non condividendo - che alcune «novità » non gli siano congeniali. Tipo: il costante accento sui problemi sessuali, riproduttivi e sanitari; la moltiplicazione dei consulenti familiari; la riduzione del corteggiamento maschile a manipolazioni e molestie; lo sviluppo del mercato delle emozioni e della pietà; la pubblicità dell’intimità. Difficile spiegare perché l'intellettuale francese se la prenda anche con «la moda ecologica delle medicine alternative », come se fosse più virile curarsi con un aspirina piuttosto che con dei granuli omeopatici. Come è abbastanza singolare l’attacco alla femminilizzazione di certe professioni come insegnanti, magistrati, psicologi e operatori sociali: perché solo loro? Che ne facciamo dei medici donna, delle donne chirurgo, delle commercialiste, delle avvocatesse? E come mai un magistrato donna dovrebbe essere più socialmente dannoso di un avvocato donna? Ma in fondo questi sono tutti argomenti di contorno al grande tema, la vera ossessione di de Benoist, che è la «perdita di virilità». La cosa avviene quando il Padre diventa papà, ossia quando un uomo - uso le sue parole - «aiuta in cucina, cambia i pannolini e spinge il carrello della spesa», divenendo «esecutore di volontà materne, mezzo assistente sociale e mezzo attendente».

Allora domandiamoci: un uomo è forse meno virile per questo? Sinceramente l'argomentazione è ridicola. Scrive de Benoist: «Mentre la madre esprime innanzitutto il mondo di affetti e bisogni, il padre ha il compito di tagliare il legame tra madre e figlio». In sostanza la madre deve significare l’Amore, il padre la Legge. Finendo il ragionamento, ci dovremmo quindi chiedere che autorità può avere un uomosu suo figlio, dopo che gli ha cambiato il pannolino. Il problema, è facilmente intuibile, non è questo. Lamenta ancora de Benoist - uso sempre parole sue - «altra caratteristica della modernità tardiva è che la funzione maschile e quella femminile sono indistinte. I genitori sono soggetti fluttuanti, smarriti nella confusione dei ruoli e nell’interferenza dei punti di riferimento ». Perché i ruoli non si confondano, secondo l'ideologo della Nuova Destra, bisognerebbe che ognuno riprendesse quello che «la natura » gli ha riservato. La donna in casa a badare alla prole, e l’uomo fuori a cacciare la preda per sfamare la famiglia. Più che un bisogno primario e «naturale» di differenziazione tra i generi, questi ragionamenti rispecchiano una serie di costruzioni sociali e di cliché di comportamento. Shere Hite, la sociologa americana che nel 1976 scandalizzò il mondo con il famoso «Rapporto» sulle abitudini sessuali delle sue connazionali, ha dedicato gli ultimi anni a studiare com’è cambiato il maschio nell’era del post-femminismo. È davvero più debole e fragile, si è chiesta? Anche questa volta la studiosa parte dalla sfera sessuale per spiegare certi tipi di comportamento maschile all'alba del nuovo millennio. La conclusione è che non sono «determinati dalla natura umana». Nel saggio I nuovi maschi scrive: «La mia teoria - se corretta - rappresenta una buona notizia, poiché esclude che le cause siano di tipo naturale o ormonale. Ciò significa che questi comportamenti fanno parte di un’ideologia inculcata dalla società nell’età puberale, nei ragazzi i quali si vendono spinti a esprimere il loro disprezzo per le madri e per tutto quello che è femminile proprio nel momento in cui cominciano a desiderare le donne sotto l’aspetto sessuale». Se l’uomo moderno attraversa una crisi di tipo psicologico e spirituale, non ne uscirà certo facendo appello ai tradizionali valori familiari. Ossia la vecchia gerarchia familiare «secondo la quale nella pubertà i ragazzi devono rompere l’alleanza con la madre per stabilirne una con il padre».

Secondo la Hite non è necessario vivere in una società o in un famiglia dove è necessario fare questa scelta. Le due teorie, come si vede, sono opposte e rispecchiano due visioni antitetiche del mondo. Tra la ex femminista superliberal americana e il maschio reazionario europeo forse di può trovare quel giusto mezzo che salverà le nostre famiglie dalla disgregazione e i nostri figli dall’abbonamento a vita dallo psicologo. Io personalmente conosco veri uomini che cambiano pannolini e finti maschi che si vantano di non averne mai cambiati. Forse la soluzione è pensare che la virilità del maschio moderno non si può misurare in base al numero di pannolini cambiati. Se invece credete che una società più solida si misuri con i vecchi criteri, ho una proposta che i nostalgici della virilità non possono lasciarsi scappare. Sapete qual è il modello sociale più rassicurante per il maschio, dove i ruoli non sono intercambiabili, dove la funzione femminile e quella maschile non si confondono, dove il padre è ancora padrone, dove i figli sono cresciuti da cacciatori e le figlie da riproduttrici, dove il mito della virilità non è mai tramontato, dove non ci sono dubbi su chi tiene in mano il bastone del comando (e non solo in senso figurato)? È quello musulmano.

Veri maschi avanti, non fatevi scappare l’occasione.

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