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Il chirurgo giramondo ha aggiustato il cuore a tremila bimbi affamati

Vive e lavora a Milano, ma da 23 anni si dedica ai piccoli cardiopatici dei Paesi più poveri: dal Perù alla Guinea, dall'Etiopia alla Siria

Il chirurgo giramondo ha aggiustato il cuore a tremila bimbi affamati

Quando aspettano fuori dalla sala operatoria, le madri sono uguali in tutto il mondo, nello sguardo e nelle preghiere. Sia che indossino il burqa, il sari indiano o cappotti di alpaca peruviana. E mentre opera, Alessandro Frigiola sa benissimo che, assieme al cuore dei bambini, ha in mano anche il loro. Per questo ogni volta le prova tutte pur di salvare un neonato. Anche quando al posto delle cannule e dei tubicini è costretto a utilizzare le cannucce delle Bic, anche quando manca l'elettricità e i suoi assistenti gli illuminano il lettino operatorio con le torce. «Non prendiamo mai in considerazione, nemmeno per un attimo, di lasciare perdere una vita» dice, mai stanco. E grazie a questa filosofia, ad oggi ha saltavo tremila bambini con un intervento al cuore e ne ha curati undicimila in ogni paese del mondo, dal Kurdistan all'Etiopia, dal Perù alla Guinea. In tutti quei posti in cui un bambino cardiopatico, altrimenti, non avrebbe la minima possibilità di poter sopravvivere.

Frigiola, 74 anni, cardiochirurgo al policlinico San Donato, vicino a Milano, da 23 anni presiede l'associazione Bambini cardiopatici nel mondo, con cui ha organizzato 390 missioni. Ovunque. L'idea dei viaggi salva-cuore gli viene quando, all'inizio degli anni Ottanta, un chirurgo francese gli chiede una mano per operare alcuni piccoli pazienti in Vietnam. E gli basta incrociare lo sguardo di uno di quei bambini per capire qual è la sua strada. «Ho visto ragazzini di otto anni arrivare da noi in fin di vita per malformazioni che in Italia riusciamo a curare nel 99% dei casi». Immediatamente nasce il progetto dell'associazione e nella squadra entrano cardiochirurghi di alto livello. Al suo fianco, in qualità di vicepresidente, Silvia Cirri, responsabile di anestesia e rianimazione all'istituto Sant'Ambrogio, del gruppo San Donato. E una squadra di 150 volontari, tra medici e infermieri, che si alternano ma fanno i salti mortali fra turni in ospedale e famiglia pur di non saltare nemmeno una missione. Tanto che da oltre vent'anni a questa parte i viaggi vengono organizzati a cadenza mensile.

«Nessuno può restare a guardare se un bambino, che potrebbe essere salvato, muore per mancanza di mezzi - sostiene Frigiola -. È un'ingiustizia inaccettabile». Inaccettabile è che nei Paesi ricchi i bambini cardiopatici abbiano un rischio di mortalità sotto il 5% e in quelli poveri, poverissimi, superiore al 90%. Dall'analisi di questa «forbice» comincia l'avventura e oggi, ogni volta che in Senegal o in Mozambico si sa dell'arrivo dei dottori del cuore, le famiglie si mettono in viaggio dai villaggi più sperduti, anche a piedi e per giorni di cammino, pur di raggiungere l'ospedale.

Quando si tratta di salvare anche solo un bambino, non c'è guerra che fermi i medici dell'associazione. Non ci sono né bandiere, né religioni né politica. E così, poche settimane fa, a Damasco l'équipe di cardiochirurghi si è mossa d'urgenza anche quando in ospedale è arrivata una richiesta di soccorso dallo Stato islamico per un bambino di 4 anni, figlio di un combattente jihadista dell'Isis, quasi in fin di vita. Una telefonata che per qualche secondo ha gelato il sangue di tutta la squadra, ma che poi è stata accolta come se arrivasse da chiunque altro. «Nessuno di noi si è tirato indietro - racconta Frigiola, che in Siria si appoggia al bisturi del suo collaboratore Tammam Youssef -. Di solito non facciamo mai domande. Operiamo e basta. I bambini sono bambini, non hanno mai colpe». Nonostante i bombardamenti, gli interventi in Siria continuano con regolarità e dal 2011 è attivo il centro di cardiochirurgia pediatrica dell'università di Damasco.

La prossima missione sarà a maggio ma Frigiola e i suoi medici sono già riusciti a inviare 60 ossigenatori per gli interventi a cuore aperto e vari materiali da sala operatoria. «Cerchiamo di tenerci ai bordi e possiamo continuare il nostro lavoro senza correre rischi eccessivi». Lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che la scorsa settimana ha consegnato a Frigiola la medaglia al merito, ha lodato l'impegno dei medici volontari in Siria e li ha ringraziati per quello che stanno facendo.

Dopo avere realizzato il Cardiac centre di Shisong in Camerun, primo e unico centro di cardiochirurgia dell'Africa centro-occidentale, l'associazione tra un paio di settimane inaugurerà un nuovo cardio reparto a Dakar in Senegal ed, entro la fine del mese, effettuerà il primo sopralluogo per la costruzione di un centro a Casablanca in Marocco. Non ci si ferma mai.

C'è solo un ostacolo che i chirurghi dell'équipe del cuore non riusciranno mai a digerire con serenità: dover selezionare i bambini da operare. Spesso le file sono così lunghe e disperate che non è possibile fare il miracolo con tutti. Per alcuni bimbi nemmeno l'intervento basterebbe. Ed è un'atrocità dovere dire ad alcune famiglie che se ne devono tornare a casa. L'unica strada per potere salvare sempre più bambini - e ridurre il numero della mortalità infantile e di quegli strazianti «no» - è insegnare ai medici locali, africani o latini, come si opera. E forse è questa la migliore lezione di integrazione che l'associazione ha dato in tutti questi anni: una scuola di chirurgia trasversale a tutti i continenti. I giovani africani e mediorientali sono stati formati con borse di studio e training specialistici e ora sanno gestire in autonomia centri medici nei loro villaggi. In tutto nelle aule del San Donato hanno studiato 300 medici che ora operano in 18 paesi. La sfida perenne è aumentare i numeri: ora, nei cinque giorni delle missioni, i medici di Frigiola fanno analisi e diagnosi a circa 250 bambini, ne operano una decina e curano gli altri. Con i volontari dell'associazione parte spesso anche un container con tutte le attrezzature necessarie alla diagnosi, alle operazioni e - per quanto possibile - alla cura dei bambini (monitor, ecocardiografo, strumenti chirurgici).

Ovviamente per tenere in piedi questo sogno servono finanziamenti. E i chirurghi non esitano a levare il camice e a infilare lo smoking per organizzare serate di gala ed eventi tesi alla raccolta fondi. Purtroppo il flusso delle donazioni non è costante. «Quest'anno ad esempio - spiega Frigiola - i fondi sono calati.

L'emergenza dei bambini cardiopatici è diventata un po' più silenziosa rispetto ad allarmi più attuali, come quello del terremoto».

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