Controstorie

Chris e la guerra infinita Oggi la voce del Vietnam salva la vita ai veterani

È stata la prima dj dell'esercito, mito di tutti i soldati, i vietcong misero una taglia su di lei Ora dà casa e assistenza ai reduci senzatetto

Massimo M. Veronese

A Saigon sbarca insieme a Bob Hope e al governatore della California Pat Brown due giorni prima di Natale, anno millenovecentosessantacinque, con il sorriso che ha nelle locandine dei film, il vestitino rosa e la coda di cavallo da collegiale, sottile e decorativa come la copertina di una rivista patinata. Ha 24 anni e sembra venir fuori da una favola di Perrault o dalle pubblicità dei dentifrici, non è mai uscita dagli Stati Uniti, tranne una volta per andare in Messico, non sa ancora che dal Vietnam non tornerà più.

All'inizio non la prendono sul serio: non è abbastanza famosa, le dicono, per trasmettere ai soldati in Vietnam, l'orgoglio della Patria, non è Raquel Welch, non è Liz Taylor non è Jane Fonda che in Vietnam ci va ma per farsi le foto con i vietcong. Chris Noel è stata la ragazza di Elvis Presley e di Richard Chamberlein, i suoi film si intitolano Girl happy o Honeymoon hotel, genere Sapore di mare, è più pin up che diva, più baywatch che signora Robinson. Ai ragazzi però piace e quei ragazzi piacciono a lei. Smette di sorridere solo quando la portano a visitare gli ospedali da campo. Sono troppo quei viaggi al termine della notte, quei ragazzi rapati a zero dalla carne martoriata, quegli sguardi muti che si perdono in occhi troppo grandi. Non pensava, lei ragazza dei beach movie e dei poster della Kodak, che il mondo fosse così brutto e la vita giovane così fragile e provvisoria. La guerra dei diciannovenni la chiamavano quella guerra, perché il Vietnam «is a young man's game». Smette di sorridere ma sceglie di restare.

Ha una bella voce, è spigliata, disinvolta e i ragazzi l'amano così com'è. Le chiedono se vuole lavorare per la radio, è la prima dj delle forze armate americane, le sue trasmissioni su AfVn, A Date with Chris, «Appuntamento con Chris», registrate a Los Angeles e trasmesse ogni giorno in Vietnam fino al 1971, sono fiori nei cannoni dei soldati: legge le lettere dal fronte, i messaggi delle fidanzate, porta i baci delle mamme, è la voce di casa. Il suo «Hy, Love...» arriva più forte del Good Morning Vietnam di Adrian Cronauer, e quando torna in trincea, e ci torna tante volte, ha una carezza per tutti, si siede sulle loro ginocchia, canta «Gary... Rodney... Ralph... I love you», un po' mamma e un po' fidanzata lei stessa di ragazzi che a casa, in tanti, torneranno solo dentro la plastica chiusa da uno zip. Non ha più paura di visitare gli ospedali, mangia il rancio dei soldati, raggiunge i posti più remoti del Vietnam, rischia di morire su un elicottero che prende fuoco, torna a casa anche lei, come un soldato, con il «post traumatic stress demorder».

É tenera, carina, micidiale, per questo pericolosissima. La contropropaganda vietcong le mette di fronte un clone, uguale e contrario, «Hanoi Hanna», vero nome Trinh Thin Ngo, e l'etere diventa una guerra combattuta a colpi di parole, una a demolire con il disfattismo il morale delle truppe americane, l'altra a trasmettere la rabbia e l'orgoglio. Sulla sua testa con i codini biondi i vietcong mettono una taglia di 10mila dollari, come nel far west.

Si innamora dell'ufficiale che la deve scortare sui campi di battaglia. È la foto di sua moglie quella? gli dice quando entra nel suo ufficio. No, è mia madre da giovane, gli risponde lui. Mente. Diventeranno marito e moglie. Lui è un capitano dei Berretti Verdi, si chiama Ty Harrington, è un ragazzo bellissimo ma ha qualcosa dentro che non va, qualcosa di malato che non si vede. Quando torna in patria i nervi devastati fanno di Chris il suo nemico: la sveglia di notte, la picchia, una volta le punta la pistola sulla faccia, un'altra un coltello alla gola. La soffoca fino a farla svenire. Quando vanno a vivere a Nashville lei lo convince a farsi vedere da uno psichiatra. Il medico la prende da parte: Ty è uno schizofrenico paranoide, è pericoloso, lo lasci prima che sia tardi. Non ce n'è bisogno. Una mattina Ty si punta la pistola alla testa come Christopher Walken nella roulette russa del Cacciatore e se ne va lui.

«Quella tragedia ce la fece sentire ancora di più come una sorella - la racconta Ralph Minichiello, che il Vietnam lo ha combattuto da italiano - Per noi marines era una specie di santa, l'altra faccia di Jane Fonda, quella pulita. Chris non ci ha mai tradito». Anche lei non ha mai amato Jane Fonda, pasionaria del pacifismo prima di diventare icona del fitness. La incrocia solo una volta al Warner Brothers Studio dove Jane fa una specie di comizio. Ascolta per un po', poi si alza e se ne va. Le urla: «Come puoi dire tutte queste stupidaggini? Tu non sai di cosa stai parlando. Se sei passata al nemico peggio per te, io sto con i nostri ragazzi, non chi li vuole ammazzare». Lei le risponde: «Non due abbiamo bisogno di parlarci. Puoi passare da me dopo?». Non si vedranno più. Hollywood gliela farà pagare e le chiuderà le porte in faccia per sempre. Il vento soffia contro.

Molti di quei ragazzi li ha ritrovati trent'anni dopo persino peggio di come li aveva lasciati. Nella baracche, sotto i ponti, agli angoli delle strade, attaccati alle bottiglia, staccati dalla vita. Chiede aiuto per salvarli, lancia appelli, ma le ridono dietro. Così trasforma una delle sue ville in una Casa Famiglia per veterani senzatetto, poi compra quelle dei vicini di casa, chiama il posto «Vetsville Case Fire House», per chi ha combattuto e perso tutto ora c'è una casa, cibo, vestiti, assistenza medica, gli I love you cantati al campo base erano tutti sinceri. Non ha sovvenzioni, lavora duro e si aiuta con il fundraiser. A 76 anni, e tre matrimoni dopo, è rimasta una di loro. Solo lei in quei vecchi orsi stanchi, in quei corpi gonfi, la tristezza spesso muta, rivede i ragazzi che furono, quelli che amavano i Beatles e i Rolling Stones, la testa rasata dal tosaerba, la divisa fuori ordinanza, bambini della porta accanto finiti in una storia più grande di loro. «La mia vita è stata questo - sorride - scegliere sempre di fare la cosa giusta». I suoi ragazzi sembrano a volte sprofondati in una quieta, scolorita, malinconia da foto ricordo ingiallita. Poi però arriva Chris: «Hi love...

» e la giornata riprende i suoi colori.

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