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Ci mancava un processo per la morte di Mussolini

Como, fissata per il 27 settembre l’udienza per discutere dell’omicidio A 62 anni di distanza dai fatti

da Como

Un omicidio comune e non un’esecuzione di Stato. Guido Mussolini, nipote del Duce, vuole convincere i giudici a riscrivere la storia. Quel che successe il 28 aprile del 1945 - l’uccisione di Benito Mussolini e di Claretta Petacci e i corpi esposti a testa in giù il giorno dopo in piazzale Loreto a Milano - non cambierà. Ma potrebbero essere messi in discussione i presupposti per cui si arrivò all’esecuzione, quando i partigiani li catturarono a Dongo, durante la fuga dal lago di Como verso la Svizzera. Sarà il giudice per le udienze preliminari Nicoletta Cremona a decidere se si dovrà fare un processo.
Il prossimo 27 settembre, in tribunale a Como, si affronterà per la prima volta il caso Mussolini. Una pagina di storia che diventa un caso di cronaca quando la maggior parte dei protagonisti è morta e sepolta da un pezzo. Non è ancora un processo vero e proprio ma un’udienza che nasce da un’istanza di opposizione. Un primo passo, ma pur sempre un passo, visto che la Procura della repubblica ha già deciso che il caso dovrebbe essere archiviato. Ma Guido Mussolini non si è trovato d’accordo con la richiesta di archiviazione del Pm e si è opposto. Opposizione accolta. Anche se il dibattimento è lontano, l’avvocato Luciano Randazzo, legale del nipote del Duce, intravede in questo atto «una grande vittoria».
«Per la prima volta viene messo in dubbio che la morte di Mussolini sia stata causata dall’esecuzione di una sentenza emessa da un organo istituzionale – sottolinea Randazzo -. Si parla infatti di omicidio comune». Poco importa che il reato sia prescritto e gli autori del delitto morti e sepolti. Gli eredi del Duce contestano il pm Maria Vittoria Isella, che ha studiato il fascicolo, valutando le varie versioni. La conclusione a cui è arrivato il magistrato è sempre la stessa, archiviazione, anche considerando le diverse ipotesi. La prima: il Duce venne fucilato dal colonnello Valerio (nome di battaglia di Walter Audisio) che, nella notte tra il 27 e il 28 aprile 1945, ricevette dal generale Raffaele Cadorna l’ordine di uccidere Mussolini. Una contraddizione rispetto alle clausole dell’armistizio di Cassibile e agli accordi sottoscritti dal Clnai, il Comitato di liberazione nazionale, per i quali il Duce doveva essere consegnato vivo agli Alleati. La seconda, che la fucilazione sia stata opera del comasco Michele Moretti, nome di battaglia Pietro. E la terza: il Duce e la sua amante vennero uccisi a casa dei De Maria - dove erano ospiti - nella notte tra il 27 e il 28 aprile.
Anche tenendo conto di questa versione, mai confermata, secondo il pm Isella si tratterebbe comunque di un caso da archiviare visto che non ci sarebbe stata premeditazione. Per Guido Mussolini, però, non è ancora tempo di arrendersi né di rassegnarsi. Sono passati più di sessant’anni ma il fatto che ci siano più tesi che ancora reggono lascia pensare che un processo sia fattibile. Quando il nipote del Duce chiese di riaprire l’indagine, qualcuno si stupì che volesse portare in tribunale un caso del 1945.

Ma lui rispose senza scomporsi quel che è una semplice verità: «In Italia fanno notizia solo due cose, le veline e il Duce».

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