Controcultura

Ciano, uomo di regime ma che non fu fascista

Tra il giugno e il novembre 1948 sul settimanale umoristico Il Travaso delle Idee diretto da Guglielmo Guasta apparve una spassosa serie di articoli dal titolo "La mia vita col puzzone. Diario di Tobia, il gatto di Mussolini".

Ciano, uomo di regime ma che non fu fascista

Tra il giugno e il novembre 1948 sul settimanale umoristico Il Travaso delle Idee diretto da Guglielmo Guasta apparve una spassosa serie di articoli dal titolo «La mia vita col puzzone. Diario di Tobia, il gatto di Mussolini». Si trattava di una satira, un po' goliardica e irriverente, sulla corsa di giornali e riviste ad accaparrarsi memoriali e diari, veri o apocrifi, di personalità dell'ormai defunto regime fascista. L'autore del gustoso «gattiloscritto», Tobia, figlio di una procace gatta romagnola e del gatto di un fabbro, si era ritrovato a Villa Torlonia alla corte del Duce entrando nelle grazie dei coniugi Ciano: «Galeazzo Ciano, con me, fu sempre amico. Se avesse trattato il Padrone come trattava me, non sarebbe finito a cavallo sella sedia».

La mania dei memoriali era scoppiata da quando era stata pubblicata, nell'aprile 1946, la prima edizione italiana del Diario 1939-1943 di Galeazzo Ciano. Il volume comprendeva le agende messe in salvo da Edda Ciano nel gennaio 1944 al termine di una vicenda rocambolesca che aveva visto impegnati in una vera e propria caccia ai diari del genero di Mussolini i servizi segreti tedeschi e quelli americani. La storia di questa caccia costituirebbe da sola la sceneggiatura di un film ad alta tensione in cui si intrecciano tante vicende: da quella romantica della spia Felicitas Beetz inviata dai tedeschi nel carcere veronese dov'era rinchiuso Ciano per carpirne i segreti e poi innamoratasi di lui a quella delle peripezie di Edda che, accompagnata dall'amico Emilio Pucci, il futuro grande stilista, alla guida di una Topolino Balestra, riuscì ad arrivare in Svizzera superando insidie e avventure di ogni genere.

La pubblicazione del Diario di Ciano sia pure incompleta le annotazioni relative agli anni 1937-1938 erano finite in mano tedesca e sarebbero state pubblicate in seguito destò subito vasta eco anche perché, non essendo possibile accedere alla documentazione diplomatica ufficiale, l'opera fu naturalmente destinata a diventare una fonte storiografica sulla politica estera del fascismo. Accanto a coloro la grande maggioranza degli studiosi di storia delle relazioni internazionali che ne sottolinearono l'importanza non mancarono quanti, per motivi politici o personali, ne misero in discussione, peraltro senza prove decisive, autenticità e attendibilità. E si scatenò quella moda dei memoriali che il settimanale umoristico romano avrebbe preso in giro pubblicando il «gattiloscritto» di Tobia. L'intento irridente era confermato da una vignetta, in testa alla serie di articoli, che mostrava due omini impegnati in questa conversazione: «Lei crede che i memoriali pubblicati dai quotidiani siano più autentici di questo?. Perché, si vede dalla faccia che sono fesso?».

Circa un mese dopo l'uscita in volume del Diario di Ciano apparve a puntate sul quotidiano veneziano Gazzettino sera, pubblicato con risalto in prima pagina, un lungo memoriale dal titolo Quello che il Diario di Ciano non dice. Si trattava di una testimonianza molto diversa dalle altre, anche per la qualità letteraria della scrittura, per le informazioni e gli aneddoti che vi si trovavano oltre che per il tentativo di offrire un ritratto psicologico del genero di Mussolini. Indizi, questi, che rivelavano come l'autore, evidentemente, fosse stato fra gli intimi di Ciano. Gli articoli erano firmati «L'Addetto Diplomatico» ed erano preceduti da un distico che qualificava l'autore come un «funzionario di Palazzo Chigi» che aveva raccolto dalla viva voce di Ciano «una quantità di fatti e giudizi» che non figuravano nel «sensazionale, ma frettoloso ed incompleto documento lasciato dal genero di Mussolini».

Questo testo, dimenticato dagli studiosi, è stato casualmente rintracciato da Giovanni Tassani che lo ha riproposto integralmente sul nuovo numero della rivista Nuova Storia Contemporanea (Le Lettere editrice) nel contesto di uno «speciale» dedicato a Galeazzo Ciano. Tassani è riuscito a individuare l'autore del testo che si celava sotto lo pseudonimo di «Addetto Diplomatico». Si tratterebbe di una delle più grandi firme del giornalismo italiano, Orio Vergani, che era stato un grande amico e confidente di Galeazzo Ciano fin dagli anni giovanili quando questi non pensava ancora di dedicarsi alla carriera diplomatica o alla politica e sognava invece una carriera di giornalista, autore teatrale e scrittore. Dopo la caduta del fascismo e la conclusione della guerra, Vergani come altri illustri giornalisti coinvolti con il fascismo a cominciare da Giovanni Ansaldo, «il giornalista di Ciano», già direttore del quotidiano di famiglia non poteva firmare con il proprio nome. In attesa di rientrare, grazie ai buoni uffici di Gaetano Afeltra, al Corriere della Sera, Oriani fu costretto a collaborare saltuariamente a riviste come L'Illustrazione Italiana e Oggi e a cercare ospitalità sul quotidiano di area moderata Gazzettino sera di Venezia dove, appunto, apparvero gli articoli dedicato al Diario di Ciano.

In seguito, mutato il clima politico, già qualche mese dopo, Vergani avrebbe scritto, questa volta firmandoli, un'altra serie di articoli dedicati al genero di Mussolini sul settimanale Omnibus poi confluiti nel volume postumo dal titolo Ciano, una lunga confessione (1974), curato dai figli del giornalista. Tassani ha fatto giustamente notare come i due testi, posti a confronto, non siano affatto sovrapponibili perché nel primo memoriale, per ragioni comprensibili, Vergani preferì soffermarsi sulle comuni amicizie giovanili e, assai meno, su aspetti che potessero portare alla «identificazione» dell'autore.

Gli articoli pubblicati sul quotidiano veneziano, tuttavia, al netto delle preoccupazioni del loro autore, sono importanti. Vi si trova la conferma che Ciano aveva «molte reticenze» e che il diario era stato pensato e scritto in origine «come una larga traccia per una vasta opera futura», come il «taccuino degli avvenimenti laterali, l'annotazione quotidiana della vita e della vita minore ai margini del grande conflitto». È una tesi, questa, in qualche misura confermata da un saggio, pubblicato anch'esso in forma anonima su L'Illustrazione Italiana nel giugno 1948, da Giovanni Ansaldo, che fece notare come Ciano fosse combattuto fra il timore che il Diario potesse essere letto da Mussolini e il desiderio che esso fosse invece conosciuto da altre persone. Non è un mistero che Ciano facesse cenno a molti suoi interlocutori dell'esistenza del Diario. Peraltro, egli, come si legge nel testo attribuibile a Vergani, «non parlò mai agli intimi del diario come di un documento preparato per avere un giorno un documento a propria discolpa». Il fatto che nel Diario molte cose non fossero registrate dipendeva dalla circostanza che Ciano si rendeva ben conto che sarebbe stato bene «non lasciare nel diario prove delle sue speranze e dei suoi contatti» che lo avrebbero reso «un documento eccessivamente compromettente».

Di qui le «reticenze» segnalate da «L'Addetto Diplomatico» in un testo che, letto in controluce, anticipa il giudizio che, molti anni dopo, avrebbe dato Renzo De Felice della personalità di Ciano parlandone come di un personaggio che «si considerava un conservatore borghese, tipico rappresentante di una nuova aristocrazia del potere» e che «tutto era salvo che un vero fascista» perché «il fascismo lo aveva solo sfiorato anche se ne aveva fatto uno dei massimi esponenti del regime».

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