Cultura e Spettacoli

Il cinema che passa da Roma si burla della crisi economica

RomaAl quarto Festival (ex Festa) di Roma andrà in scena dal 15 al 23 ottobre quella che il neodirettore unico Piera Detassis chiama «la commedia della crisi». Per dire, insomma, che non è vietato sorridere al cinema, anche in questi tempi grami, incattiviti e poco inclini all’ottimismo. L'emblema di tutto ciò sarebbe il Ryan Bingham di Up in the Air, film di Jason Reitman. Incarnato da George Clooney, Bingham è lo spietato «tagliateste» incaricato di viaggiare in lungo e in largo per gli States con il compito di licenziare dipendenti per conto dell'azienda. Il suo debole è accumulare milioni di miglia per la tessera di «frequent flyer». Finché una donna incrociata negli aeroporti non gli rivoluzionerà la vita, in ogni senso.
Sala Sinopoli colma di giornalisti, ieri mattina, per la tradizionale conferenza stampa. All'insegna della sobrietà, senza saluto di politici e amministratori, pure senza rinfresco (in compenso uno sponsor regalava saponette: significherà qualcosa?). Archiviato il terremoto elettorale-organizzativo del 2008, la kermesse romana prova a ridefinire la propria identità nel panorama festivaliero. La parola d'ordine, lanciata dal presidente Gian Luigi Rondi, è «Tutto il cinema per tutti», con una particolare attenzione al cinema d'autore capace di intercettare i favori del pubblico popolare attraverso un largo uso di star e volti noti.
Se Venezia punta su un menù di anteprime mondiali, Roma può permettersi di riprendere film appena passati a Toronto: come, appunto, Up in the air, ma anche il malinconico A serious man dei fratelli Coen o il tosto Triage di Danis Tanovic con Colin Farrell, che aprirà le danze il 15. Tanto i divi da red carpet non mancheranno: da Clooney, ormai di casa con o senza Canalis, a Richard Gere, protagonista di Hachiko. A dog's story nonché testimonial del forum sui temi dell'ambiente; da Meryl Streep, cui va il Marc'Aurelio alla carriera, a Helen Mirren e Monica Bellucci. Attesi anche Anthony Hopkins e Laura Linney, protagonisti di The city of your final destination, by James Ivory.
Alcuni numeri utili. Nove giorni la durata del festival per un budget di 12 milioni di euro (13.5 nel 2008), 153 tra partner e sponsor, 4 le sezioni (Selezione ufficiale, L'altro cinema, Alice nella città, Occhio sul Mondo), 14 i titoli in concorso, di cui 8 in prima mondiale, più 10 fuori.
Spiega Detassis: «Quest'anno, con meno film in cartellone e senza confuse sovrapposizioni, ma non dimenticando gli incroci vitali tra sezioni, cerchiamo di dare ordine al piccolo che cresce». Traduzione: la Festa che fu veltroniana finisce in soffitta e completa la mutazione in festival tradizionale, dotato di giuria professionale (presiede Milos Forman), fuori da logiche maratonesche. Poi, d'accordo, sopravvive il premio conferito dal pubblico, a sancire l'abbraccio simbolico con la città, mentre il mercato, ora affidato a Roberto Cicutto, dovrà occuparsi di allargare il volume degli affari, sul modello di Cannes.
Quanto alla politica, non si prevedono per ora tempeste alla veneziana. Certo i film, informa il direttore, raccontano storie di «crisi economica, razzismo, guerra, amour fou, lesbico e gay, passati totalitari, ambiente violato», ma si parlerà anche di «riscoperta della spiritualità». L'arrivo di Walesa e del cardinale Glemp per il film su Popieluszko farà piacere al sindaco Alemanno, così come l'anteprima del breve «Omaggio a Roma» firmato Zeffirelli. Tre i titoli italiani in gara (Viola di mare di Donatela Maiorca, Alza la testa di Alessandro Angelini e L'uomo che verrà di Giorgio Diritti), più altri sedici disseminati nelle varie sezioni (Olmi, Calopresti, Winspeare, l'esordio alla regia di Stefania Sandrelli eccetera). Gabriele Muccino farà un «duetto» con Tornatore, e chissà che non porti qualche immagine del nuovo «Baciami ancora».

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