Cronaca locale

In coda tra i nuovi poveri per avere un pasto gratis

Lento ma inesorabile l'incremento dei milanesi tra gli utenti della mensa «Opera San Francesco per i Poveri» di corso Concordia, al civico 3. Ancora stranieri comunitari ed extra comunitari a far da padroni, che si attestano al 90%, ma si ingrossano le fila degli italiani, stimati al 10% , a seguito dell'aumento dell'affluenza complessiva degli ospiti, «il 20% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno» come dichiara cifre alla mano Andrea Rossetti, responsabile del servizio mensa. «Riusciamo a quantificarlo, perché tutti gli utenti sono registrati, muniti di badge per l'accesso. Dal 1° gennaio di quest'anno si sono registrati per la prima volta 692 connazionali e 126 donne. Tra le cause campeggiano la disoccupazione, lo sfratto, la separazione e i debiti. Ma anche i minimi di pensione, la mancanza di aiuti familiari, con conseguente depressione, accompagnata magari da alcol e droga, favoriscono retrocessioni sociali, impensabili fino all'anno scorso. Un esercito di indigenti, che consuma anche 2700 pasti, previsti tutti i giorni nei due turni dalle 11,30 alle 14 e dalle 17,30 alle 20. «Il lunedì è uno dei giorni più affollati - racconta uno dei 600 volontari che collaborano con OSF -. La mensa, infatti, la domenica è chiusa ed è possibile che molti dei nostri utenti saltino il pasto. Quando arrivano qui, così, spazzolano tutto. Mai vista tanta fame in giro». La coda, che di solito si forma già alcune ore prima dell'apertura del cancello, si allunga per un centinaio di metri. Gli guardi sono bassi e raramente si incrociano. A fine serata saranno 1565 i pasti somministrati a pranzo e 1034 a cena. Tra i primi in fila Leandro Malusardi, 46enne milanese: «La mia vita è precipitata nel giro di 15 giorni: ho perso il lavoro di giardiniere in una ditta di Melegnano, e non potendo più pagare la casa in cui abitavo con mia sorella dopo la morte dei miei, sono finito su una strada. E' il primo giorno che vengo a mangiare qui. E dormo dove capita». «Meglio all'aperto che nei dormitori - gli fa eco Shehi Jemin, 49enne, proveniente dalla ex-Jugoslavia -. Quello in viale Ortles puzza. Ho perso il lavoro precario da muratore tre mesi fa, dopo una malattia, e subito dopo anche la casa. Ho i documenti in regola, ma qui ormai vivo male. Voglio andare in Ungheria, che è meglio». Bloccati per la crisi anche gli sbocchi occupazionali per gli immigrati, la sua è una storia che si ripete. Più atipica, invece, quella di Rolando, milanese purosangue. Modi distinti, ma viso segnato, osa persino un po' d'ironia: «Sono nato alla Mangiagalli 55 anni fa. Sono un ex istruttore di equitazione, ma ho voluto investire un intero capitale in un locale in via Caterina da Forlì. Con la crisi e i guadagni ridotti a 30 euro a sera nel giro di poco tempo mi sono indebitato. E ho perso tutto. Ora dormo in un box, che mi costa 90 euro al mese. Ho detto ai miei affittuari che dovevo usare il locale come ripostiglio. Chissà se ci credono? Comunque fanno finta di niente. Sono separato dal '92, ed é una fortuna: sennò c'avrebbe pensato mia moglie a sbattermi fuori da casa, magari con la scusa che ero un fallito». Questa è la coda dei cosiddetti «normali». Nell'ingresso accanto, a una decina di metri dal principale, c'è una coda più esigua, una sorta di corsia preferenziale, riservata a persone giudicate dall'amministrazione ancora più fragili. Qui entrano in tre scaglioni, alle 11,30, 12,30 e 13,30, escamotage ideato dai responsabili per ridurre a pochi minuti la sosta in piedi di disabili, persone con problemi psichici, qualche bambino, molti gli anziani, donne. L'ombra della crisi si allunga anche e soprattutto su di loro. Francesco Pagani, 72enne milanese, dichiara una pensione di 600 euro: «Mangio qui per risparmiare: ormai non riesco più a pagare neanche l'affitto e aspetto solo una casa popolare». E come lui quasi tutti i coetanei lì attorno. Pochissime le donne. Ne spicca una particolarmente bella. Si chiama Maria, 39 anni, peruviana: «Ho sposato un milanese, ma mio marito, impiegato, ha perso il lavoro tre mesi fa. Così ho iniziato a lavorare io: faccio le pulizie qui vicino, la prima cosa che mi è capitata».

E in pausa pranzo, da tre mesi, sosta obbligata anche per lei alla mensa di San Francesco.

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