Controcultura

Cola dell'Amatrice fra pietre e pennelli

L'artista era anche un eccellente architetto. Come dimostra San Bernardino a l'Aquila

Cola dell'Amatrice fra pietre e pennelli

Non avrei mai immaginato venticinque anni fa di dovermi occuparmi di Cola dell'Amatrice dopo il lungo lavoro che portò a realizzare la grande mostra del pittore nel 1991 ad Ascoli Piceno.

Cola usciva da un oblio densissimo e impenetrabile, ed era stato solo sfiorato dal processo di revisione critica che aveva investito molti maestri del suo tempo. Dopo le prime aperture di Federico Zeri e di Carlo Volpe, si applicò all'impresa un valoroso studioso, Roberto Cannatà che venne a trovarmi per avere consigli sulla mostra che stava preparando. Io avevo, anni prima, acquisito dell'artista un'opera (pubblicata dal comune maestro, Carlo Volpe) che egli volle vedere, e che ora è esposta a Osimo nella mostra:Le stanze segrete di Vittorio Sgarbi. Pregherei il devoto gruppo di ascolto intorno a Federico Fabrizi, in particolare Silvia La Ferlita, in un conato di autonomia critica, di andare a vederla.

Io non ho ripreso nessun pensiero dell'amico Cannatà; ho solo riferito dati esterni, cronologici e toponomastici, tanto più necessari da conoscere e da ricordare in un momento come questo in cui quelle opere sono minacciate, ed è giusto e utile identificarle, come per un inventario, un certificato di esistenza, una carta di identità. C'è un solo modo di dire: «La pala in san Francesco di Campli con la Madonna che allatta il bambino e i santi Francesco, Antonio, Caterina d'Alessandria e Chiara, è datata 1510», o: «nel 1524 Cola è documentato all'Aquila», o «il pannello con l'Andata al Calvario, datato 1533, è ispirato allo Spasimo di Sicilia di Raffaello». Provi a esprimerlo in modo originale Sara Fabrizi. Preparando, per palazzo Te a Mantova, la nuova mostra su Cola dell'Amatrice, come una resurrezione sulle rovine, perché la bellezza sia vita oltre la morte, dovrò riproporre gli stessi documenti certi, riprodotti a sua volta da Cannatà,ed esporre le stesse opere, sia pure in una luce nuova. Cola tiene viva, attraverso la sua impresa, la patria perduta. Questo è il senso della nuova iniziativa. Dove si distingue, a parte le valutazioni critiche, una ricerca da un'altra? Nelle parti diverse(talvolta anche dati documentari nuovi) evidenziando le proposte originali e inedite. Le informazioni conosciute si riportano, le idee si copiano.

In un'altra sede della nuova mostra, in Palazzo Bagatti Valsecchi a a Milano, saranno presentate tre opere importanti, non conosciute dal Cannatà: L'incontro delle famiglie di Gesù e san Giovannino e Cristo in casa di Marta e Maria, la Sacra famiglia.La prima assai notevole, proveniente dalla Germania, dove io la vidi, e apparsa ora a Matelica nella mostra su Lorenzo de Carris e i pittori eccentrici nelle Marche del primo Cinquecento, a cura di Alessandro Delpriori, attesta la sovrapposizione di una concezione moderna, raffaellesca, su una severa, rigida, statuaria tradizione quattrocentesca. Anche l'iconografia è insolita, proponendo a convegno la sacra famiglia di Gesù con la santa famiglia del cugino Giovanni Battista. Le coppie e i figli si trovano insieme, al completo, per un appuntamento cui partecipano la Vergine, Giuseppe, Elisabetta e Zaccaria, con Gesù e Giovannino. È l'incontro dei nuclei familiari dopo il tempo della visitazione, protagoniste le due sole madri con i figli nel ventre. Le età apparenti sono diverse, giovani e vecchi, con una bella figura nuova di domestica che porta due colombe per l'offerta al tempio e una fiasca di vetro. Il tempio c'è, in forma di architettura classica con colonne scanalate che rimontano a Vitruvio, Alberti e Serlio, alle spalle dei due gruppi per unificarli in una veridicissima Sacra conversazione, animata, parlante, con memoria diretta delle sacre rappresentazioni in terracotta policroma, di Nicolò dell'Arca e Guido Mazzoni, che in pittura avevano trovato un altro corrispondente plastico ed espressionistico nel ferrarese Ortolano. Altrove, come nelle due figure della Vergine addolorata e del San Giovanni evangelista ai lati di un crocifisso ligneo nel museo di Ascoli Piceno, Cola era stato pittore di sagome per potenziare l'illusione del volume. Nelle famiglie di Gesù e Giovannino Cola esprime potenza, eloquenza, orgoglio nei padri, e amore materno nell'aggraziata Vergine, e adorazione intensa, nella michelangiolesca Elisabetta. Notevoli i frammenti archeologici ai piedi della Vergine, in una ideale continuità della civiltà cristiana con il mondo antico; curioso il richiamo nordico del paesaggio sul fondo derivato in controparte da una incisione di Durer: il Mostro marino. L'impianto dell'opera, pur così complesso e iconograficamente insolito, è affine a quello della Sacra famiglia di Amatrice, datata 1527,e concorda stilisticamente con la potente Comunione degli Apostoli di Ascoli piceno. Cola si candida a essere un artista eccentrico nei suoi anni maturi, riparato nelle Marche, soprattutto ad Ascoli Piceno, non disponibile a competere a Roma, ma informato dei pensieri nuovi di Raffaello e Michelangelo. Ed è nelle Marche, propriamente, l'anello mancante tra Crivelli e Lotto, cui in più occasioni si avvicina. Entrambi hanno un rapporto difficile, e inevitabilmente subalterno, con Raffaello, alla sensibilità del quale, comunque, senza ritardi, si mostrano allineati. L'altra opera notevole, riapparsa di recente,e d esposta per la prima volta nella mostra Il tesoro d'Italia all'Expo di Milano nel 2015, è il Cristo in casa di Marta e Maria, di composizione virtuosistica e muscolosa, con l'evidenza protagonistica delle due donne, in un impianto monumentale potenziato dalla concentrazione spaziale nel loggiato bramantesco, con le colonne di ordine toscano e i cassettoni, che rivelano l'architetto, così come si manifesta nella Istituzione della Eucarestia per l'Oratorio del Corpus domini nel Convento di San Francesco, ad Ascoli, compiuta nel dicembre del 1519. I volumi, i panneggi, la severa staticità, pur nella bella e densa invenzione, si rispecchiano nelle forme della Dormitio virginis, già in San Domenico ad Ascoli, ora nei Musei capitolini, databile al 1516. Condivisibile e fortificata è la sintesi di Cannatà: «Il dipinto rientra in quel gruppo di opere definite anticlassiche da Zeri, dove le referenze raffaellesche vengono rielaborate in un linguaggio autonomo ed eterodosso che tiene conto anche di altre esperienze (Signorelli, cultura lombardo-leonardesca,Pedro Fernandez). Volpe nota una relazione tra il Genga (Madonna e Santi di Phoenix) e le opere della maturità di Cola, «fino alla solenne Assunta capitolina dove compare il più misterioso e potente paesaggio neoprospettico della pittura di quegli anni».

Arrivati a questo momento alto e ricco di opere, si può evidenziare (come faremo nella sede dell'Aquila) l'impegno di Cola architetto, che a Roma fu soprattutto colpito dalla grande maniera di Donato Bramante e si istruì sui manuali di Sebastiano Serlio. Negli anni dei capolavori della sua maturità pittorica è incaricato di progettare la facciata su via del Trivio di Palazzo del Popolo, terminata prima del 25 ottobre 1520, potentemente contrastata per il ritmo degli aggetti dei timpani delle finestre come edicole. In accordo con le sue architetture dipinte ,nei dipinti sopra citati, Cola nel 1523 imposta il portale laterale della chiesa di San Pietro Martire con le colonne in ordine dorico romano e il soffitto a lacunari e rosette come nella Istituzione della Eucarestia.

L'impresa più impegnativa, la facciata della Basilica di San Bernardino a L'Aquila, lo occuperà dal 1525 al 1542. Come osserva Adriano Ghisetti Giavarina: «un'opera grandiosa, quasi una parete libera contro il cielo (per l'adozione, anche in conformità con la tradizione abruzzese del coronamento rettilineo) in cui la potenza delle membrature riesce a far prevalere, secondo la lezione di Bramante, la proporzione sulla dimensione». Una grande semplificazione Cola manifesta, tornato a casa, nella facciata incompiuta, del duomo di Ascoli Piceno, di programmato classicismo. Così nella chiesa di Santa Maria della Carità, sempre ad Ascoli, con il lieve aggetto in facciata delle lesene, in una partitura semplicissima, propriamente pittorica, a sottolineare il continuo rimando delle discipline sorelle. D'altra parte, era stato lo stesso artista, sotto il cornicione della facciata posteriore di palazzo del Popolo ad Ascoli, a firmarsi «Cola amatricii:pict: et architec».

Un lungo impegno.

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