Controcultura

Com'era dolce la vita quando c'era Fellini

Nei suoi film ha narrato, con sogni e realismo, un'Italia da favola. Che oggi si è dissolta

Com'era dolce la vita quando c'era Fellini

Il 20 gennaio 2020 ci sarà la grande festa per il centesimo compleanno di Federico Fellini e intanto Rimini, la città natale che il Maestro ha amato e detestato come si detesta la provincia e le sue manie, ma da cui non si è mai staccato restando così romagnolo per sempre, si prepara a un anno di celebrazioni che culmineranno nell'apertura del museo a lui intitolato.

L'antipasto, invece, è stato inaugurato ieri al Castel Sismondo, corpo centrale del futuro progetto: la mostra «Fellini 100. Genio immortale», visitabile fino al 15 marzo, andrà poi a Roma nel Palazzo Venezia, quindi a Mosca e a Los Angeles. D'altra parte il nome Fellini è uno dei brand italiani più apprezzati e riconosciuti all'estero, soprattutto se lo si coniuga con Dolce vita, rimando all'irripetibile età dell'oro, felice, spensierata, incosciente. Felliniano, inoltre, è diventato prima un aggettivo e poi una voce dell'Enciclopedia Treccani e il Maestro ironizzava molto su questo destino cui non avrebbe mai pensato con la stessa ironia che ci avrebbe messo l'amico Ennio Flaiano. Felliniano significa tante cose: onirico, surreale, ipertrofico, esagerato, dissonante, antinarrativo, circense, visionario. Non avrebbe mai pensato di lasciare eredi dietro di sé, lui autore di un cinema così personale e irripetibile, eppure via via sono stati definiti felliniani registi come Lynch e Kusturica, Anderson e Sorrentino, persino Woody Allen, almeno in un'idea di cinema classico. Però i giovani non conoscono Federico Fellini, non hanno visto i suoi film e non ne apprezzano l'importanza nella cultura italiana. Dedicargli un museo non è dunque mera operazione celebrativa, anzi al contrario, Fellini vuole essere la chiave interpretativa della storia italiana che non si basi solo sul recupero della memoria, ma incida nel presente cogliendone anche altri aspetti, per esempio il rapporto con la televisione che ancora deve essere studiato a fondo o il Fellini ispiratore/ispirato dell'arte visiva, in modo particolare del fumetto e dell'illustrazione.

Si annuncia dunque un'esplorazione a 360 gradi in cui il Museo giocherà un ruolo di coinvolgimento fra interattività e feticcio originale, effetti sorprendenti tra Cinecittà e Disneyland (nel senso buono del termine), tanti materiali disponibili sia per il pubblico che per gli studiosi. Il tutto progettato da Studio Azzurro, una carriera a metà tra videoscenografia e arte, tra Castel Sismondo, ovvero la rocca malatestiana quattrocentesca, il primo piano del cinema Fulgor già riportato in vita da un restauro filologico e la Piazza dei Sogni nel centro storico che verrà animata da gigantesche installazioni scultoree e interattive, così di notte, quando Rimini dorme, il turista-viandante-cinefilo potrà incontrare le ombre di Marcello, Anita e Giulietta e parlarci un po'.

Sul progetto ha lavorato in prima persona il sindaco Andrea Gnassi, uno che ha fretta, tante idee e nessuna voglia di aspettare: ecco dunque, a cantiere in corso, la mostra «Fellini 100» - il logo è stato disegnato da Paolo Virzì riprendendo una foto del paparazzo Tazio Secchiaroli - che del Museo costituisce un'anteprima e un'eventuale linea di indirizzo per ciò che sarà, studiato per ingolosire il pubblico.

I principali elementi della mostra analizzano Fellini sullo sfondo della storia d'Italia, dagli anni '20 al 1993, anno della morte, dagli esordi all'ultimo film, La voce della luna, vecchio, tremolante e imperfetto, con Paolo Villaggio e Roberto Benigni. E quindi i materiali, che sono tanti in giro e che auspicabilmente il Museo dovrà raccogliere superandone la dispersione. Cominciando dal fondo Nino Rota in cui sono conservate diverse sceneggiature originali dove il Maestro annotava appunti e idee per le colonne sonore. Tra gli inediti la prima sceneggiatura di Amarcord (inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi Il borgo) e quella di 8½ conservata dall'allora assistente alla regia Lina Wertmüller. Gli abiti, quindi, alcuni di bellezza assoluta come quelli indossati da Donald Sutherland ne Il Casanova di Federico Fellini con i quali Danilo Donati vinse l'Oscar per la scenografia. Tante fotografie, dagli archivi di Tonino Delli Colli, Giuseppe Rotunno ed Elisabetta Catalano, straordinaria fotografa del mondo dell'arte a Roma. Né mancano le memorie dei compagni di viaggio - Fellini era bugiardo, infedele, capriccioso, ma alla fine lavorava sempre con le stesse persone - cominciando dal quasi compaesano Tonino Guerra, anch'egli centenario, sepolto a Santarcangelo e la cui memoria, gemella felliniana, è conservata a Pennabilli.

Fellini aveva a lungo praticato l'arte del disegno, tra spazio libero dove appuntare idee e immagini notturne e una sorta di terapia personale senza alcun freno inibitorio. Il libro dei sogni rimane un capolavoro di surrealismo e, probabilmente, uno dei più riusciti incroci fra cinema e arti visive, anche se il Maestro non dava troppa importanza a quei fogli sparsi che sono in mostra e che costituiranno un altro importante nucleo collezionistico. Ma non ci sarebbe Fellini senza un'idea di spettacolo, dove il falso potrà sostituire il vero e ingannarci ancora una volta sulla nostra percezione del reale. Attraversiamo dunque la nebbia dove si è perso il nonno, la vela d'acqua, uno schermo liquido per attendere il passaggio del Rex.

Fra i tanti film, Amarcord resta il più amato dai riminesi, anche più di I vitelloni. In dialetto vuol dire «mi ricordo» e indubbiamente la memoria e la nostalgia potrebbero prendere il sopravvento nei visitatori più adulti perché di quell'Italia, chi l'ha conosciuta fa oggi fatica a ritrovare le tracce. Eppure il cinema, ogni volta che comincia un film riaccende una magia lontana e immutabile. Fellini, che avrebbe cent'anni e manca al mondo da 26, ci farebbe su una gran risata, ne sparerebbe una delle sue a metà tra l'imbarazzo e l'orgoglio: prima aggettivo, poi museo.

Direbbe, falso modesto, «in fondo ho fatto solo dei film», e invece è stato il più grande di tutti.

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