Cronaca locale

Il commento Per favore risparmiateci la contestazione davanti al teatro

(...) E non siamo, ancora più fortunatamente, neppure nel 1976 quando i Circoli del proletariato giovanile invitavano alla mobilitazione con un volantino farneticante in cui rivendicavano «il diritto al caviale perché siamo arroganti» e definivano la prima della Scala «un’occasione di affermazione politica della borghesia milanese sul proletariato». No, per fortuna siamo nel 2009, ma...
Sono trascorsi 41 anni eppure, ormai, al rito della contestazione alla prima della Scala non si sfugge. Per un motivo o per l’altro è un’occasione d’oro per chi vuole protestare, vuole farsi ascoltare, vuole farsi vedere: nel 2005 furono i «No Tav», nel 2006 i Cobas, nel 2007 gli animalisti, nel 2008 non ricordo.
Cambia la ragione sociale ma non cambia la forma; la «controprima» della Scala sembra diventata anche lei un irrinunciabile appuntamento mondano. Sia ben chiaro quest’anno ci saranno gli operai dell’Alfa, gli ingegneri della Nokia Siemens, gli operatori dei call center della Omnia, i dipendenti dell’Eutelia che hanno ottime ragioni per protestare. Ma perché proprio davanti alla Scala e la sera della prima?
Per una ragione semplicissima. Viviamo ormai in una società televisiva e teledipendente. Tu puoi avere milioni di ottimi motivi per protestare, per manifestare, per dimostrare ma se la tua protesta, la tua manifestazione, la tua dimostrazione non finiscono sugli schermi tv è come se non esistessero. Cinque minuti a «Ballarò» o ad «Annozero» valgono più di due ore di blocco di un’autostrada. E davanti alla Scala, la sera della prima, ci sono le telecamere di tutte le televisioni pubbliche e private, italiane e forestiere. Un uovo su un visone fa ancora notizia dopo 41 anni. E si può stare certi che se sei lì davanti a protestare, se sei lì davanti con uno strisione in mano, qualche microfono e qualche telecamera ti vengono sicuramente offerti per far sentire le tue ragioni, per mostrare la tua angoscia a milioni di telespettatori.
È diventato un rito e ai riti, si sa, non si rinuncia facilmente. Come dimostrano anche i dipendenti della Scala che, tanto per cambiare, sono sul piede di guerra. Un grande coro formato da Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil e Fials-Cisal hanno già dato alle stampe, e cercheranno di distribuirlo agli spettatori, un volantino (definito «il primo passo di una stagione di lotte») dal drammatico e significativo titolo «La musica è finita». Autore di questo omicidio spettacolare sarebbe, ovviamente, il governo con la sua finanziaria e i tagli in essa compresi. Come se, in questo momento, l’unico settore a dover fare qualche sacrificio fosse quello degli spettacoli.
Ma i dipendenti della Scala (tra i firmatari della protesta) considerati da molti lavoratori privilegiati si guarderanno bene dal distribuire il volantino a chi manifesterà fuori dalla Scala.

Rischierebbero anche loro qualche pomodoro e qualche caco in faccia.

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