Politica

Il commento Fini si rassegni, la Padania esiste davvero

di Stefano B. Galli

Sempre più spesso si registrano delle uscite pubbliche, da parte dei protagonisti del teatrino della politica, che suscitano perplessità, quando non aperta indignazione. Perché sono offensive per l’intelligenza - evidentemente presunta - di chi le fa. È il caso del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che si ostina a negare l’esistenza della Padania. È la sua ossessione.
Tale finiana ostinazione conferma tuttavia che la Padania esiste davvero: altrimenti, perché impegnarsi con tanta determinazione a confutarne l’esistenza? Il reiterato tentativo di negare la specificità del grande Nord - che si è imposto contro lo Stato burocratico e accentratore, assistenzialista e clientelare, incarnato dal potere romano di cui lo stesso Fini è uno dei massimi esponenti - deve essere letto come la malcelata ammissione di una vera e propria sconfitta politica personale.
Nel 1728, Charles Louis de Montesquieu rimase profondamente colpito dalla bellezza della pianura padana che «si estende - scrisse il giurista bordolese - fra le Alpi e l’Appennino: queste due catene di montagne, unite all’inizio del Piemonte, divergono, formando un triangolo con il mare Adriatico, che ne è come la base e racchiudono la più deliziosa pianura del mondo».
La Padania aveva allora circa cinquecento anni. Le tradizioni civiche e le virtù repubblicane delle comunità territoriali della valle del Po risalgono infatti all’esperienza storica municipale del XII secolo. L’età comunale fu caratterizzata - ha scritto il politologo americano Putnam in uno studio sulla Tradizione civica delle regioni italiane (1993) - da un sistema di governo autonomo, che rappresentò la «maggiore alternativa» al feudalesimo, allora dominante nel resto dell’Europa. Le repubbliche comunali furono più libere ed egualitarie rispetto a «qualsiasi altro regime dell’Europa di quegli anni, compreso, naturalmente, lo stesso Sud Italia normanno».
Queste libere municipalità si unirono in giuramento a Pontida il 7 aprile 1167, dando vita alla Lega Lombarda, che sanciva l’alleanza dei Comuni padani contro l’imperatore Federico Barbarossa. Oltre un secolo dopo - nel 1291 - sarebbe sorta, sul prato di Grütli la lega delle comunità montane di Uri, Schwyz e Untervalden, nucleo fondativo della futura Confederazione svizzera. Se le leghe medievali costituiscono il precedente storico-istituzionale del moderno federalismo, Pontida viene prima del Grütli, la Lega Lombarda prima della Confederazione elvetica, i liberi Comuni della Padania prima dei Cantoni elvetici.
Questa esperienza storica, politica e istituzionale, ma anche economica, sociale e culturale, ha inciso nella mentalità collettiva sino a segnarla in profondità e a caratterizzarla in modo specifico in tutta la valle del Po. A tale realtà pensava Massimo d’Azeglio quando auspicava la nascita di «uno Stato solo sul Po»; a tale realtà pensava pure - peraltro sin dagli anni Quaranta dell’Ottocento, quand’era ancora sindaco di Grinzane - lo stesso Camillo Cavour, elaborando la sua idea di un’Italia circoscritta al grande Nord.
Allora come oggi, la Padania si configura come un aggregato geo-economico di comunità territoriali fondate su una forte socialità, tenuta insieme anche da una diffusa religiosità, e un’indubbia vocazione produttiva di matrice quasi calvinista. E proprio per ciò sensibili, sin dagli anni Ottanta, quando si resero conto della necessità di tutelare i propri interessi e trovare un’adeguata rappresentanza politica, al federalismo. Basti ricordare il dibattito tra l’allora presidente della regione Emilia Romagna, il comunista Guido Fanti, e il professore della Cattolica di Milano, Gianfranco Miglio. Oppure la ricerca della Fondazione Agnelli dei primi anni Novanta (La Padania, una regione italiana in Europa, 1992).
Quando si parla di Padania bisogna fare i conti con un’area sulla quale insiste un reticolo di culture e mentalità collettive, usi, costumi, tradizioni, sensibilità economiche e produttive, senso di appartenenza e attaccamento alle comunità territoriali, virtù civiche e organizzazioni di interessi, riconducibili all’omogeneità. Non è un’invenzione politica, né una realtà immaginaria. È anzitutto una realtà geo-economica, che oggi garantisce oltre il cinquanta per cento del fatturato del Paese - tale è il Pil - e ogni anno stacca un assegno, destinato a Roma, di oltre cinquanta miliardi di euro. Presidente Fini: la Padania è tutto ciò.

E altro ancora.

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