Politica

Commento Perché la paga flessibile conviene anche al Sud

Il rischio è quello solito della stagione estiva, e cioè una confusione di lingue e di concetti, buoni soltanto per far titoloni sui giornali. Ci riferiamo alla questione meridionale, posta al centro del dibattito politico nel modo peggiore. Le divisioni del Pdl siciliano, infatti, hanno subito fatto parlare di un Partito del Sud, la cui radice culturale sarebbe stata solo la rivendicazione di qualche miliardo di euro in più e un maggiore equilibrio degli assetti di potere all’interno del partito di maggioranza relativa. La questione meridionale è talmente seria che farla sorgere in questo modo ne ha significato lo svilimento con tutto il corredo della derisione leghista e dell’improvviso sblocco di fondi, peraltro già stanziati, per la Sicilia. Il Partito del Sud non è mai esistito, non fosse altro per il fatto che un partito a forte radicamento meridionale già esiste, anche se di piccole dimensioni, ed è il Movimento per le autonomie (Mpa) di Raffaele Lombardo, che aspira giustamente ad avere un respiro politico nazionale. Non è un caso che la sua piccola pattuglia parlamentare alla Camera ed al Senato è uscita dall’aula per non votare il Documento di Programmazione economico-finanziaria (Dpef), nonostante fosse già avvenuto lo sblocco dei fondi per la Sicilia. Il cuore del problema è tutto qui, perché il Dpef è il documento strategico della politica economica del governo. La rincorsa di questi giorni a buttar giù in fretta e furia un nuovo documento per il Sud ricco di riferimenti storici e culturali, oltre che di azioni concrete, è l’ennesimo errore di chi pensa che il Mezzogiorno sia un problema separato dal destino dell’intero Paese. Un errore che ha molti seguaci nel Sud, come nel Centro-Nord, a destra come a sinistra e che rischia di accentuare quel fenomeno di separatezza che da quindici anni a questa parte sta lentamente e silenziosamente avanzando. Il degrado meridionale è la faccia più drammatica di una difficoltà di un Paese che dal 1995 cresce poco e male, di un continuo aumento del deficit e del debito che si riducono solo temporaneamente quando c’è il calo internazionale dei tassi d’interesse (fu questo il «miracolo» di Romano Prodi nel ’96-99), e di una competitività che è messa solo sulle spalle delle piccole e medie imprese esportatrici di beni e di servizi. Insomma, parlare di questione meridionale sganciata da quella settentrionale è un errore, così come diventa culturalmente ridicola e politicamente nefasta l’idea che il Centro-Nord possa avere tassi di sviluppo europeo a prescindere dal Mezzogiorno. Se è vero che il costo della vita nel Sud è inferiore del 17% rispetto al Nord, è altrettanto vero che il reddito pro capite è nelle regioni meridionali il 58% di quello del Centro-Nord. C’è, dunque, una questione nazionale che attiene alla modernizzazione del Paese, a una crescita diffusa e sostenuta e a una competitività da recuperare in tutti i campi, all’interno della quale Nord e Sud devono fare ciascuno la propria parte. A cominciare dal Mezzogiorno, nel quale si è inceppata la selezione della classe dirigente che in una società debole come quella meridionale ha prodotto effetti ancora più devastanti di quelli di altre zone del Paese e nel quale la macchina amministrativa è allo sfascio. Calderoli, allora, sbaglia nella forma e nel tono quando parla di gabbie salariali, ma sbagliano altrettanto i meridionali quando non avvertono che una flessibilità salariale più accentuata può essere uno degli elementi di un pacchetto di nuove e più forti convenienze per attrarre gli investimenti nell’intero Mezzogiorno.

Ecco, dunque, perché temiamo un approccio separato della questione meridionale, mentre è più che mai urgente ripensare a una politica economica nazionale che non può esaurirsi nei modesti obiettivi di crescita contenuti nel Dpef (il 2% nel 2012-2013) e con i quali sia il Sud che il Centro-Nord non vanno da nessuna parte, trasformando così quel federalismo di cui molti si vantano in una miscela esplosiva che può travolgere prima o poi tutto e tutti.

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