Politica

Il commento/Ma quale P3, è solo una commedia degli equivoci

Francamente, non se ne può più. Periodicamente, in Italia, si scoprono associazioni segrete o semisegrete che cercano di condizionare le scelte e gli orientamenti degli organi istituzionali, più o meno di vertice.
Scattano in tal modo le inchieste, le polemiche politiche, i servizi giornalistici più o meno di parte, senza che naturalmente nessuno (o quasi) si preoccupi di riflettere su alcuni semplici dati di fatto, che, se valutati con un po’ di attenzione, servirebbero a sgombrare il campo da tanti equivoci.
La cronaca ci dice che alcuni esponenti politici, insieme ad altri soggetti, definiti faccendieri, si sono incontrati negli ultimi mesi nelle abitazioni di uno di essi o in altri luoghi, per discutere di varie condizioni politiche attuali e - così viene riferito - per studiare le migliori strategie per collocare alcuni personaggi, anziché altri, in certe sedi particolarmente delicate.
Non è peraltro per nulla chiaro se costoro siano riusciti nei loro intenti, anche solo parzialmente: per molti versi, pare di no.
E ciò perché pare di capire che il più delle volte le loro sono rimaste chiacchiere fra amici davanti ad una bottiglia di vino, mentre altre occasioni hanno visto un risultato raggiunto, ma per altre vie, attraverso cioè l’intervento di esponenti completamente estranei alle loro conversazioni: si pensi al caso del presidente della Corte d'Appello di Milano Marra, nominato con le maggioranze previste dal Csm, i cui componenti non sembra siano mai stati avvicinati o interessati da alcuno dei protagonisti di queste vicende.
Ma allora, se in tal modo stanno le cose (a meno che non salti fuori qualcosa di ancora sconosciuto e di clamoroso) di quale P3 stiamo parlando?
Potremmo parlare, volendo e messe così le cose, anche di P5, di P6 o di P all’ennesima potenza: nulla cambierebbe.
In particolare, non cambierebbe l’impressione che si stia facendo di una serie di incontri, rimasti allo stato di puro vaniloquio, una congiura vera e propria, degna di essere censurata quale associazione segreta punita dalla legge.
E poi, per parlare davvero di associazione segreta, dovrebbe esserci la prova del vincolo associativo, della durevolezza di tale vincolo, della persistenza dei singoli associati nel farvi parte, della illiceità degli scopi… Tutte prove che non solo non sembrano allo stato raggiunte, ma che appaiono, ancor peggio, improbabili.
Alcuni sono presenti in certe riunioni; altri no; ma questi poi partecipano ad altri incontri dove però i precedenti associati sono assenti, mentre, si noti, alcuni associati mai si sarebbero incontrati fra di loro: e che associati sarebbero? La cosa somiglia più ad una pochade di Faydeau, i cui protagonisti s’incontrano quasi per sbaglio solo sulle porte girevoli, che ad una trama associativa condotta nell’ombra per sabotare gli organi dello Stato.


E se invece di cercar di vedere trame dove trame non vi sono (ma al più patetici tentativi di millantare credito, compiacendo i potenti, come spesso accade in Italia), ponessimo mano a modificare ciò che è da anni sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno proferisca verbo?
Alludo, per esempio, alla circostanza, in sé assai imbarazzante, che vede il Senato della Repubblica ed il Grande Oriente d’Italia, espressione della più grande organizzazione massonica italiana, coinquilini - gomito a gomito - di Palazzo Giustiniani?
Possibile che non ci sia nessuno che stigmatizzi, per lo meno, l’imbarazzante contiguità materiale fra una organizzazione, certo palese, ma assai antica, ramificata, efficiente, a volte troppo presente, e che comunque, pur non essendo illegale, sarebbe meglio spostare un po’ più in là, magari per impedire a qualcuno di origliare dalla porta?
Su questa stranezza, che è sotto gli occhi di tutti e che non sarebbe certo male eliminare, di assordante in Italia c’è soltanto il silenzio.

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