Cultura e Spettacoli

La compagna scompagnata

«La ragazza del secolo scorso» è una Rossana Rossanda polemica, fredda e a volte crudele

La recente opera di Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso (Einaudi, pagg. 385, euro 18), è un appassionato documento di lotta politica all’interno del Partito comunista, e addirittura del suo vertice, la segreteria, la direzione, il comitato centrale. Parlare di narrativa o di saggistica è dunque decisamente improprio, anche se ci si imbatte in pagine ove la rievocazione dell’infanzia e adolescenza dell’autrice, «ardenti di inconsapevolezza», come direbbe il poeta Cardarelli, ha non pochi momenti di intensa liricità e di notevole pregnanza di scrittura.
Ma tutto il resto del libro, per più di trecento pagine, si svolge lungo il filo conduttore di una autobiografia esclusivamente concentrata sui diversi momenti della battaglia ideologica e politica. E forse proprio per la totalità di questa esperienza, così minuziosamente documentata, si trovano di nuovo brevi squarci di «letteratura» che, forse involontariamente, l’autrice apre facendo respirare il lettore affannato dalla tumultuosa congestione degli argomenti. Ma anche quegli «squarci» sono dovuti ad un versante della inesausta polemica rossandiana - incapace di abbandoni e di umane tenerezze, a meno che non si tratti di suoi intimi amici, giacché persino nella sua famiglia, è lei stessa a confessarlo, c’è sempre stato un affetto profondo ma schivo e talvolta persino reticente -: il versante dell’ironia, altro aspetto temperato della aggressività dialettica di cui è strutturata l’intera compagine del volume, a partire dai primi dubbi sulla trasformazione del partito di «quadri» in partito di «massa», cioè del partito per la rivoluzione in partito per le riforme e la conquista della maggioranza; e dalle perplessità suscitate dalla scelta ufficiale della tradizione riformatrice e della lotta contro il latifondo e per l’occupazione contadina delle terre del Sud, non equamente bilanciata dalla lotta d’avanguardia degli operai metalmeccanici nel Nord. Forse il detonatore di queste ancora introiettate resistenze personali è stato l’aperto e aspro dissenso sulla linea zdanovista del realismo socialista e della chiusura del partito nei confronti della libera sperimentazione nell’arte. Sono quasi certamente queste le radici remote dell’aperto dissenso che in seguito causò la fondazione de Il manifesto, rivista del dissenso comunista, e la conseguente radiazione dell’autrice e dell’intero suo gruppo.
Ma torniamo agli squarci «letterari», alcuni divertenti, altri impietosi. D’una amara comicità, quasi di ascendenza gogoliana, il resoconto di una riunione redazionale della rivista Rinascita: ai due capi d’un lungo tavolo Scoccimarro parla, Togliatti estrae dalla tasca un catalogo di antiquariato librario, e vi segna le sue eventuali scelte; quando Scoccimarro smette, Togliatti, rimette in tasca il catalogo. Meno comico e forse un po’ arrogante l’incontro casuale, a Milano, con un Giancarlo Pajetta profondamente depresso, che, invitato a cena in casa di Rossanda, fra una chiacchiera e l’altra manifesta platonici propositi suicidi. Racconta l’autrice: «Mi alzai, avevo le finestre alte sul giardino..., ne aprii una e gli dissi: “Buttati. O ti butti adesso o non farmi mai più questi numeri”. Pajetta stupì per un attimo: “Tu non me lo impediresti?” “No. Va’, o finiscila”. Devo aver aggiunto che era un bellissimo giardino per sfracellarvisi».
Forse di stampo hemingwayano la scena «della tenda» a Cuba: dopo due notti, insonni per appassionate discussioni con Fidel Castro «mi buttai su una branda nella tenda più vicina quando fece capolino Castro: “Perdoni, non preferirebbe dormire nella tenda delle donne?” Non importa, comandante. “Ma qui verranno una trentina di soldati”. Be’, allora sono difesissima. “La prego, a Cuba non si usa”. Pareva scusarsene. Raggiunsi le damas, fredde ma gentili e munite di creme e altre femminili comodità». Decisamente crudele il brevissimo resoconto d’una visita ad Alessandro Natta, ex segretario del Pci, molto malato, e defenestrato: «gli chiesi: perché ci avete cacciato? “Perché dividevate il partito”, rispose. E sarebbe andata peggio di come è finita? gli obiettai». Natta sembrò guarire, riprese i suoi studi, si rifugiò in Arcadia, disse. Ma poco dopo morì. Tuttavia anche Rossanda ricevette duri colpi: ad esempio, dopo la radiazione, scrisse alla casa editrice Einaudi, offrendosi, forse con eccessiva baldanza, come collaboratrice; ma ricevette un netto rifiuto di un paio di righe in stile burocratico firmate da Giulio Einaudi in persona. Se l’autrice avesse interrotto più spesso la continua polemica contro quello che lei considerava l’elefantiaco attendismo del Pci prima, e della Quercia poi, abbandonandosi al proprio estro narrativo qui appena accennato, il suo libro se ne sarebbe sicuramente giovato.

Ora, così com’è, il testo è di difficile e a volte faticosa lettura per tutti, in particolare per i lettori al di sotto dei quarant’anni per i quali sarebbe stato opportuno porre al termine un indice dei nomi (con succinte notizie biografiche) che sono davvero numerosi e, per molti, sconosciuti.

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