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Il comunista che imita i dc vende fumo e non tocca i giudici

Il Guardasigilli si comporta come quando giocava a calcio senza gran talento: media, cuce e ricuce ma di riforme neppure l'ombra

Il comunista che imita i dc vende fumo e non tocca i giudici

Per non partire sconfitto, come tutti i suoi predecessori, si è trasformato in un formidabile dissimulatore. Andrea Orlando, ministro della Giustizia, stempera, attenua, addolcisce, infine prova a negare quello che è sotto gli occhi di tutti. Piercamillo Davigo sostiene che i politici sono corrotti, Matteo Renzi gli risponde per le rime, sfidandolo con tre parole: «Faccia i nomi». E lui che fa? Concede un'intervista a Repubblica e con calma olimpica disinnesca il conflitto. Gli chiede infatti Liana Milella se ci sia una nuova guerra tra toghe e politica, lui risponde serafico: «Assolutamente no, anche perché pregiudicherebbe i passi in avanti compiuti». Quali siano questi passi in avanti non è dato sapere, ma ci prova lo stesso. E sbandiera quel che si è riusciti a fare, per esempio la diminuzione dell'arretrato del civile da 5,9 a 4,5 milioni di fascicoli. E poi attacca il solito mantra sinistro su autoriciclaggio, falso in bilancio e reati ambientali per accreditare una presunta svolta che in realtà non si vede. Perché, al di là della contabilità che pure è importante, i processi, penali e civili, vanno sempre a rilento, e siamo sempre a parlare delle stesse cose: la prescrizione che è come una gonna troppo corta o troppo lunga, le intercettazioni che sono diventate ormai un genere letterario, la separazione delle carriere che restano attaccate come gemelli siamesi. Ecco che un quarto di secolo o quasi di dibattito e polemiche su cimici e nastri viene azzerato in un battibaleno dal neopresidente dell'Anm Davigo che, ignorando volutamente gli scaffali di discussione, afferma che lo scandalo non c'è perché c'è già la legge sulla diffamazione. E dunque per lui l'argomento è chiuso con la riproposizione del solito schema manicheo: il bianco e il nero. Orlando sta in mezzo, come quando da ragazzino giocava a pallone senza grande talento nel ruolo di centrocampista, e cuce e ricuce. Lui che è nato comunista a La Spezia, città rossa e pure un po' sovietica, regolata dalle sirene dell'Arsenale, si è trovato ad essere il più democristiano dei ministri. Come il mitico Arnaldo Forlani che sosteneva di poter parlare per due ore di un qualunque tema senza scontentare nessuno, eccellendo nell'arte sublime del fare fumo. Insomma, Orlando pare uno di quei funzionari Onu che, mentre fuori infuria la battaglia, predicano il rispetto, la tregua, il nuovo ordine mondiale.

O forse si è accordato con il capo del governo, il postdemocristiano Renzi, e ha stabilito di fare la parte del poliziotto buono, mentre l'altro fa la faccia cattiva, ironizza sulle ferie delle toghe, ricorda ai magistrati i loro flop e li invita a scrivere le sentenze. Poi non contento bolla i fannulloni della categoria e alza le spalle davanti ai proclami dei vari leader. Orlando tiene un profilo basso, smussa e annuncia un accordo sulla prescrizione che traballa già nel momento in cui viene spiegato. Perché dinanzi all'idea di allungare i tempi della lotta alla corruzione di almeno tre anni, se non molti di più, i centristi si dividono e si contorcono e dalla mattina alla serata è un susseguirsi di colpi di scena. Accordo sì, accordo no, anzi accordo forse. Anzi. È come sfogliare la margherita o partecipare a un quiz. Pare di sognare, proprio alla Spezia, giusto vent'anni fa, esplodeva la fiammata di Mani pulite due, i macchinisti quando i treni passavano vicino al carcere, suonavano per festeggiare l'arresto di Necci, pacchi di intercettazioni scuotevano il mondo politico. Un copione che si ripete sempre uguale e ogni volta riparte la solita disquisizione: ci vogliono leggi severe, pene più alte, prescrizione larga. E però senza barbarie, nel rispetto della privacy, dei diritti di tutti, senza ismi. Retorica e festival dei luoghi comuni. Renzi prova a sfuggire a quel destino paludoso e mediocre, cerca il cambiamento già, e forse solo, nelle parole. Straccia il rituale della concertazione con il partito dei giudici, in concreto annaspa fra provvedimenti e disegni di legge che vanno e vengono nel traffico ingolfato del parlamento da mesi e mesi. Per ora di bandiere, il premier ne ha piantate ben poche. C'è la legge sulla responsabilità civile dei magistrati, ma come ha detto Aldo Cazzullo del Corriere della Sera bisogna vedere se funzionerà.

In ogni caso tocca a Orlando misurare i progressi compiuti e tenere viva la fiammella del dialogo. Così il democristiano si fa ancora più democristiano, della corrente dei cirenei che la croce l'hanno caricata sulle spalle. Lui ancora una volta finge di non sentire il peso o, forse, è un maestro di strategia e punta alla più soft delle rivoluzioni. I bilanci si fanno alla fine e un giorno si vedrà quel che il governo ha combinato. Certo, qualcosa è cambiato e per fortuna non siamo più ai tempi in cui il procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli, il potente kaiser del Pool, ironizzava sul tenore alcolico del guardasigilli Alfredo Biondi, specie nelle ore pomeridiane, e nemmeno siamo alla stagione in cui i magistrati pungevano il ministro Roberto Castelli, definito sarcasticamente l'Ingegnere, e sabotavano tutti il sabotabile. Del resto il guardasigilli veniva imbozzolato persino in un surreale conflitto con il capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi pure sul potere di concedere la grazia e veniva sconfessato dalla Corte costituzionale. Oggi Orlando fa sua la massima, imprescrittibile, del Conte zio: quel «sopire, troncare, troncare, sopire» che permette di navigare senza colare a picco in acque affollate e punteggiate da scogli taglienti. Così Orlando sorseggia il suo mezzo bicchiere. Intanto, a Quarto, con rispetto borgo sconosciuto ai più fino a quel momento, brandelli estrapolati di dialoghi fra politici e imprenditori avvelenano i pozzi provocando uno psicodramma furibondo con accuse, controaccuse, dimissioni sull'asse Pd-Cinque Stelle. E la Procura di Potenza va a rileggere e contestare atti del governo e del Parlamento, chiede conto di un emendamento, come nemmeno ai tempi del Pool, spinge alla resa un ministro, sempre sulla base di intercettazioni e di una frase che nessuno ha sentito e tutti hanno commentato. Una giustizia che si muove in un eterno girotondo, mentre gli esperti ci ripetono quel che già sappiamo: le multinazionali nuotano al largo della Penisola per non perdere affari e l'ambasciatore degli Stati Uniti fa notare che l'Italia perde massicci investimenti per via del suo indecifrabile sistema giudiziario. A differenza di tanti altri che l'hanno preceduto, Orlando porta soavemente la croce. Anzi, pare avere in testa l'alloro. Ma basta poco per scoprire che siamo ancora a quel passato così pesante. Ai condizionamenti della corporazione in toga, alle mezze sillabe degli indagati. Agli equivoci di frasi scivolose e dialoghi da decifrare, come il tormentone su Pacini Battaglia e Di Pietro «sbancato sbiancato».

E ai commenti acidi di Davigo che liquida sprezzante il mimetismo e la condiscendenza del guardasigilli e di tanti altri colonnelli del Pd: «Non dico che ci abbiano messi in ginocchio, ma un po' genuflessi sì».

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