Il consenso era generico: «Lesi i diritti del paziente»

Il consenso era generico: «Lesi i diritti del paziente»

Un intervento completamente sbagliato. Ma non solo. Ad aggravare la situazione c'è stata anche una totale mancanza di informazioni sui rischi legati all'operazione. Perché far firmare a un paziente un «prestampato, assolutamente generico» per acquisire così il «consenso informato» per un intervento lede il suo diritto alla salute che impone, invece, il «preciso dovere» da parte dei medici di fornire «un'informazione corretta e completa sugli effetti e le possibili controindicazioni dell'intervento chirurgico». È il principio stabilito nelle motivazioni di una sentenza del Tribunale che ha condannato a 2 mesi - convertiti in una pena pecuniaria - un dentista accusato per il reato di lesioni colpose nei confronti di una donna che soffriva di una malattia parodontale.
Una condanna che è arrivata non solo per la «non corretta riabilitazione implantoprotesica» eseguita dal dentista, ma anche per la «rottura nel rapporto di fiducia con la paziente» causato dal medico che non avrebbe «fornito» alla donna, parte civile nel processo e rappresentata dall'avvocato Mauro Mocchi, «un'informazione adeguata - scrive ancora il giudice della quinta sezione penale, Giuseppe Cernuto -, violando» il suo diritto «a disporre liberamente della propria salute e della propria integrità fisica». Insomma, non è sufficiente sottoporre un modulo vago e buono per tutte le situazioni cliniche, ma è necessario rendere noti i rischi specifici a cui ogni singolo paziente va incontro affrontando un'operazione.
A peggiorare - e di molto - le cose, però, c'è anche la totale imperizia con cui è intervenuto il medico. La donna, dopo aver accettato di sottoporsi a un intervento dal costo totale di circa 36mila euro, «si avvedeva» infatti che l'operazione era stata effettuata «all'arcata superiore e non a quella inferiore, contrariamente a quanto da lei richiesto», e che «si era proceduto all'impianto endosseo in luogo di quello iuxtaosseo pattuito». In altre parole, l'operazione aveva completamente sbagliato bersaglio. Per la paziente era l'inizio di un lungo calvario: andava a curarsi da altri medici, ma nel frattempo «avvertiva dolori costanti, edema, gonfiore al viso, stati febbrili».
Ma in diversi passaggi delle motivazioni della sentenza depositate nei giorni scorsi, il giudice - oltre a sottolineare gli evidenti errori commessi dal medico nel corso dell'intervento - insiste nel contestare altre «incolpazioni» relative a quel consenso informato fatto firmare in fretta alla paziente su un «prestampato». Un medico, infatti, spiega ancora il magistrato, non è «titolare di un generale diritto a curare a prescindere dalla volontà dell'ammalato», ma deve dare informazioni adeguate in relazione sia all'intervento che al comportamento post operatorio.

Altrimenti diventa responsabile della «rottura del rapporto fiduciario», e anche della «reazione» del paziente di «interrompere la cura», che può peggiorare la situazione.

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