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Contrada, la tragedia di una farsa

Per l’ex dirigente del Sisde, già assolto, è arrivata una terza richiesta di condanna

Contrada, la tragedia di una farsa

Giovedì scorso il sostituto procuratore generale, concludendo la requisitoria dinanzi alla prima sezione della Corte d’Appello di Palermo, ha chiesto per Bruno Contrada la condanna a dieci anni e sei mesi di reclusione. È la terza richiesta di condanna in un processo che dura da tredici anni, e finora non ce n’è stata una uguale all’altra: al processo di primo grado i pm chiesero una condanna a dodici anni (e il tribunale gliene diede solo dieci); al primo processo d’appello il pg ne aveva chiesto undici, uno in meno (e la Corte lo assolse); e a questo secondo appello, dopo che la Cassazione aveva cancellato tre anni fa l’assoluzione, ha chiesto sei mesi di meno. Evidentemente,con il passare del tempo,gli inquirenti gli fanno degli sconti: e Contrada si lamenta?
È una tragica farsa, e non è facile distinguere la tragedia dalla farsa. Bruno Contrada, il più famoso «sbirro» di Palermo e della Sicilia, capo della squadra mobile e poi della Criminalpol, capo di gabinetto dell’Alto commissario per la lotta alla mafia e poi numero tre del Sisde, il servizio segreto civile, memoria storica di trent’anni di guerra alla mafia, quando non c’erano i «pentiti» e ci si doveva sporcare le mani e rischiare la vita e la reputazione con i confidenti, accusato da una dozzina di pendagli da forca, molti dei quali lui aveva perseguito ed arrestati, è stato arrestato alle sette del mattino della vigilia di Natale, il 24 dicembre del 1992. È stato tenuto tre anni e sette mesi in carcere, prima nel carcere militare di forte Boccea, poi in un vecchio carcere palermitano chiuso da tempo e riaperto solo per lui. Quando ne è uscito ed è ricomparso dinanzi alle telecamere appostate nell’aula del tribunale, sembrava il suo stesso fantasma: «Si è presentato in tribunale con la sua consueta eleganza - così scrissero i giornali - ma fiaccato crudelmente nel fisico. La bocca cascante, imbiancati i capelli che lasciava cadere ad arte sui due lati del viso, infiacchita dalla magrezza la mascella forte e squadrata. Il Rambo, il finto giovanotto così attento a coltivare il physique du rôle, trasformato in un vecchio, in uno spettro...». Nel corso del dibattimento, all’ennesimo «pentito» introdotto dal pm, è crollato: ha fatto per alzarsi, forse per protestare e si è invece accasciato sulla sedia, pallido e sudato, le labbra nere e serrate, le membra scosse da un tremito nervoso. Il presidente ha gridato di sospendere, i pm immobili e interdetti, gli avvocati invocano il medico, un carabiniere lo sorregge e tenta la rianimazione bocca a bocca... Trasportato con l’ambulanza al reparto rianimazione dell’ospedale civico, quando ha riaperto gli occhi ha gridato «Vogliono annientarmi», ha chiesto che lo lasciassero morire, ha pianto, ha tentato di impadronirsi della pistola del carabiniere, ha strappato dalle mani del primario la siringa rivolgendosela alla gola...
Per due anni nell’aula del processo di primo grado si è discusso di un’anfora antica che la mafia avrebbe rubato e gli avrebbe regalato e che non fu mai trovata; della saletta riservata di un ristorante in cui lo avrebbero visto cenare con un boss, ma il ristorante non aveva salette; di un’auto che sarebbe stata comprata con i soldi della mafia e regalata ad un’amante, e furono a lungo cercate e non furono trovate né l’auto né l’amante; di una parrucchiera che avrebbe ricevute le confidenze di una cliente figlia di un boss mentre le faceva la permanente; di una medium che avrebbe visto in sogno Giovanni Falcone che l’avvertiva che per colpa di Contrada sarebbe stato ammazzato anche Paolo Borsellino; se era vero oppure no che un giorno Giovanni Falcone, dopo aver stretto la mano di Contrada, si era ripulita la sua mano sui pantaloni, a significare che non si fidava di Contrada... A nulla sono valse le deposizioni a favore di Contrada di tutti i suoi superiori, tre successivi capi della polizia (per tutte, quella di Vincenzo Parisi, il più famoso: «Bruno Contrada è un investigatore straordinario,il suo curriculum è brillantissimo e ha ricevuto per 33 volte gli elogi solenni dell’Amministrazione e della magistratura»), di una dozzina di ufficiali dei carabinieri e di due dozzine di questori e di commissari e anche dei capi del Sisde e di un centinaio di agenti che avevano lavorato ai suoi ordini. Valsero le accuse per sentito dire dei «pentiti»: senza uno straccio di prove, senza riscontri, eppure sono considerate «compatibili», può essere successo, perché no? E perché non condannarlo a dieci anni di reclusione? E tutto senza un movente, riconoscono che non hanno trovato il movente: «Capire perché Contrada ha tradito lo Stato - scrivono i giudici nelle motivazioni della condanna - per quanto possa apparire inquietante, da un punto di vista giuridico non è rilevante». È il 6 aprile del 1996: è una tragedia o una farsa?
Cinque anni dopo, al processo d’appello Contrada viene assolto «perché i fatti non sussistono». L’assoluzione viene chiesta persino da un «pentito» di prima grandezza, Francesco Marino Mannoia, che l’aveva accusato in primo grado: «Tutto quello che vi ho raccontato contro Contrada - dirà in appello Mannoia - non è farina del mio sacco, l’ho sentito dire in giro e non ne rispondo, anzi mi auguro che voi vogliate restituire l’onore a quest’uomo...». E i giudici scrivono nella motivazione dell’assoluzione: «La sola frequentazione di Contrada con i boss mafiosi, senza il corredo di ulteriori manifestazioni significative o indizianti, non costituisce prova della sua volontà della sua volontà di prestare sostegno all’associazione criminosa. Le accuse dei collaboranti, alcuni dei quali possono essere portatori di sindrome rivendicatoria, difettano in linea di massima della necessaria specificità, riducendosi a mere affermazioni basate su apprezzamenti personali o considerazioni soggettive, mentre le circostanze esaminate e considerate come elementi di riscontro, si rivelano prive di valore probatorio». È il 4 maggio del 2001: sono passati già otto anni e quattro mesi dall’arresto.
Passa ancora un anno e sette mesi e la sera del 12 dicembre del 2001 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione, dopo che il procuratore generale ha chiesto di respingere i ricorsi degli inquirenti di Palermo e di confermare l’assoluzione, e dopo solo mezz’ora di camera di Consiglio, annulla la sentenza della Corte d’Appello. Con questa sibillina motivazione: «La sentenza di assoluzione è caratterizzata dalla mancanza totale di struttura logica e formula congetture neppure in astratto dotate di una base razionale. I giudici della Corte d’Appello hanno operato un sistematico e pregiudiziale svilimento di qualsiasi elemento che possa ritenersi a carico dell’imputato». I difensori di Contrada, più che contrariati, sono rimasti attoniti e allibiti: «Questo processo - è l’unica cosa che sono riusciti a dire - è una tragedia per l’Italia civile». Una tragedia o una farsa?
Un anno dopo, il processo è ricominciato ed è andato avanti stentatamente per un anno e mezzo, con una o due udienze al mese, fino a ieri l’altro. La «rinnovata ricostruzione e valutazione delle risultanze processuali» chiesta dalla Cassazione è consistita in questo, l’introduzione a sorpresa del «pentito» dell’ultim’ora, il solito e supersfruttato Antonino Giuffrè, che non aveva detto assolutamente niente di Contrada nel corso dei sei mesi di tempo consentiti dalla legge («nessuno mi aveva chiesto di lui», si è giustificato), e niente di concreto e di sua scienza ha aggiunto alle «rivelazioni» dei «pentiti» del primo e del secondo processo («Lo so a livello di stampa - ha detto - ho letto sui giornali che Contrada ha fatto scappare Totò Riina»). Si è discusso per un anno e mezzo, ma solo per qualche ora, una o due volte al mese, di tutto e di niente, finché l’altro giorno si è alzato il pg e ha chiesto la nuova condanna a dieci anni e sei mesi. Dopo le vacanze estive, sempre con il ritmo di una o due udienze al mese, parleranno gli avvocati difensori. La sentenza è prevista per la fine dell’anno, la nuova Cassazione tra un paio d’anni, l’eventuale terzo appello per questo processo inesistente (infatti, non ne parla nessuno, non ce n’è traccia sui giornali), questo processo perpetuo (è senza fine, non avrà mai fine), ed è perpetuo perché è inesistente, potrebbe cadere entro il 2010. Bruno Contrada aveva sessant’anni nel ’92, quando è stato arrestato, 64 anni nel ’96, quando è stato condannato, 69 anni nel 2001, quando è stato assolto, alla fine di quest’anno ne avrà 75, nel 2010 ne avrà quasi ottanta. Auguri.
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