Politica

Contro i bulli un "codice" per i giovani

Gli studenti del liceo di Milano l’altro giorno stavano ancora uscendo, spossati ma euforici per quel sollievo che arriva dopo ore e ore di noia, a stare sempre fermi. Il solito sovrapporsi di parlottii e risa compresse e sciocche complicità, beate di sfogarsi all’aria aperta, finalmente primaverile. E invece ecco le urla adulte di voci peraltro consuete che irrompono: le spinte, e il muoversi scomposto: due adulti urlanti arrivati alle mani. E chi poi? I professori di scienze e filosofia. Non si fanno granché: una leva articolare venuta male e la mano gonfia, forse un collarino e il continuo seguito di recriminazioni. Ma resta la scena di questo concitarsi: dei loro respiri che non li ha quasi fatti più parlare; dell’avversione che diviene incredula reciproca paura; e delle mani che sono andate avanti da sole. La più brutta lezione di due adulti, che mostrano di non essere tali. E ciò non solo nel cortile di scuola davanti ai loro propri studenti, ma mentre a Monterotondo in una lite tra sedicenni uno di loro si feriva con un coltello. Altro gesto maldestro, ma che conferma quanto poco nella nostra scuola riesca una vera educazione civica.
Il liceo di Milano dove s’è svolta la rissa tra i professori pare sia peraltro un buon esempio per il quartiere di periferia dove risiede. Non è insomma ambiente di quelli che fanno felici i giornalisti che indagano sui quartieri dei poveri o degli zingari. E però palesemente anche lì qualcosa manca. Non c’è replica, neppure lì, a quel seguito di scene di violenza dei vari film, dai quali siamo ogni giorno invasi. In sequenze senza tregua che invadono i giovani e l’educano a divenire più fragili. A credere che siano gli improbabili calci volanti dei film, o le superforze dei cartoni animati, a dar sicurezza nel rapporto cogli altri. Ma a queste sciocchezze quale educazione civica replica mai nelle scuole? I soli a educare sono i film violenti o le palestre di arti marziali dove troppe volte dei frustrati insegnano quanto non dovrebbero. Cosicché ora non c’è più nemmeno quella pausa di una volta, quando due ragazzini appoggiavano prima a terra la cinta coi libri, e almeno si guardavano negli occhi prima di una zuffa. Prevale invece adesso l’isteria di un tempo tutto e solo televisivo, impaurita dalla vita, in gesti sconnessi, e perciò più pericolosi.
È a questo grave guaio che le scuole dovrebbero replicare, insegnando come replicare a una aggressione, e alla propria tensione. Perché infatti lasciare i giovani a fare i conti con la violenza da soli, coi risultati di questi due professori isterici, o dei ragazzini col coltello? Si insegni loro piuttosto educazione civica come nelle scuole giapponesi, usando il judo o l’aikido, o con lezioni di lotta e di scherma. Si mostrerebbe così splendidamente come la buona educazione serve ancora più quando si deve far fronte alla violenza. Insomma, considerato che pure nell’anima dei più miti vivono istinti che evolvono a violenze inattese, perché non si insegna a disciplinarli? È forse poco far imparare ai giovani come mutare un’offesa in una stretta di mano, insegnando la boxe o il judo a scuola? Certo che no. Eppure richiederebbe di vincere la ipocrisia di chi pretende di esorcizzare l’ira e ogni violenza negandole, come vorrebbe una certa sinistra.

Fino al risultato grottesco della educazione presente che genera giovani sempre più imbelli, ma violenti.

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