Cultura e Spettacoli

Contrordine scienziati

All’inizio di ogni anno il sito Edge.org, preferito dai cervelloni di tutto il mondo, rivolge una domanda ai suoi visitatori. Per il 2008 ha chiesto: su che cosa avete cambiato opinione?

Qual è il forum on line più cool su cui si scambiano pareri e idee scienziati e cervelloni di tutto il mondo, quello che mantiene vivo il dibattito scientifico? Quasi sicuramente Edge.org, sito britannico che ha tra i supporter più accesi, tanto per citare qualcuno tra i notissimi, Richard Dawkins, il famoso e discusso zoologo autore de Il gene egoista, Brian Eno, produttore visionario di musica contemporanea, lo psicologo Steven Pinker, oppure fisici come Alan Guth (uno di quelli che sta cambiando l’attuale visione della storia dell’universo) o Gino Segrè. Da lì passano molti dei dibattiti che contano, merito anche di un escamotage, con le caratteristiche del tormentone colto: ogni anno Edge.org pone un quesito malizioso a cui gli intellettualoni, che compulsano le sue pagine elettroniche, sono chiamati a rispondere. Quello di quest’anno è: «Su che cosa avete cambiato idea? E perché».
Un modo garbato di spingere i ricercatori, che lo utilizzano e sostengono, ad ammettere i propri errori a partire da un motto: «Quando pensare modifica la tua opinione è filosofia, quando è dio che ti fa cambiare idea è fede, quando i fatti ti fanno vedere le cose in maniera diversa questa è scienza».
I quesiti posti negli anni precedenti si erano già spinti sul filo della provocazione (nel 2006 la domanda era stata «qual è l’idea più pericolosa in circolazione?»), ma non avevano mai coinvolto così sul personale intellettuali e ricercatori. Forse per questo i mea culpa sono arrivati numerosissimi e prestigiosi (siamo già oltre il centinaio in pochi giorni), rivelando che le migliori teste pensanti stanno cambiando parere su un sacco di cose, dall’espansione dell’universo all’evoluzione, dal senso della scienza al funzionamento del cervello umano, passando per il valore dell’Impero romano rispetto alle civiltà barbariche. E in alcuni casi il «contrordine compagni scienziati» bordeggia tra lo stupefacente e l’iconoclastia.
Per fare qualche esempio, un antropologo come Richard Wrangham, noto per le sue teorie sulle origini della violenza tra gli umani (ha scritto Demonic Males: apes and the origins of human violence) ripensa le sue idee: «Pensavo che alla base dell’evoluzione umana ci fosse l’uccidere e mangiare carne, adesso penso che ci sia il fatto di cucinare il cibo. Che questo ci abbia differenziato dai primati». Invece un biologo evoluzionista di fama come Mark Pagel ha cambiato idea sul concetto di razza, che secondo lui non deve più essere un tabù, anche nella sua applicazione nei confronti dell’essere umano. A convincerlo di questo fatto sono stati gli ultimi studi sul genoma della nostra specie: «Ci accomuna il 99,5 per cento del patrimonio genetico, non il 99,9 come si credeva in passato... se pensiamo che con lo scimpanzé la somiglianza è del 98,5 per cento... Questo non significa affatto che un gruppo etnico sia superiore all’altro, ma solo che ha senso discutere di differenze genetiche tra le popolazioni».
Come si vede, tesi espresse con moderazione ma comunque dirompenti, visto il putiferio provocato da espressioni meno felici, ma basate sugli stessi dati, di un premio Nobel come James Dewey Watson (scopritore del DNA e recentemente aggredito, a ragione, dai media inglesi per una serie di dichiarazioni razziste di dubbio gusto e attendibilità).
Certo, non tutti i «dietrofront» sono così epocali o di peso: il matematico Rudy Rucker ha solo cambiato idea sul fatto che i computer possano evolvere sino a percepire il divino (adesso pensa di sì), mentre l’archeologo Timothy Taylor ha deciso che sui sacrifici di bambini degli Incas non ha più voglia di applicare il relativismo culturale in voga negli anni Settanta: ora li considera «violenza portata avanti da un potere imperiale».
In generale, però, l’impressione è quella che a partire da queste pagine elettroniche, che vengono poi tradizionalmente trasformate in un libro cartaceo, la scienza e la cultura che ripensa se stessa ne approfitti per far piazza pulita dei suoi luoghi comuni, di quelle teorie che hanno finito per trasformarsi in dogmi.
Un bel sassolino dalle sue «scarpe filosofiche» sembra toglierselo Helena Cronin, cervellona della «London School of Economics» e a capo del centro di studi sul darwinismo. Basta con le recriminazioni femministe sul fatto che la nostra cultura è «uomocentrica» e spesso gli uomini svettano. Non è discriminazione, quanto una diversa distribuzione media delle qualità: «Mentre le donne sono omogenee, a grandi linee dello stesso livello, i maschi sono più varii... All’interno del gruppo hanno molti più individui sotto la media ma anche individui che svettano, più premi Nobel». E se di questa considerazione debbano preoccuparsi più le donne oppure tutti gli uomini che non hanno vinto il Nobel, è difficile dire. Qualunque sia la nostra opinione, ci resta però il privilegio di cambiare idea, parola di scienziato. Peccato che però fuori dallo spazio virtuoso di Edge.org siano in molti a pretendere che la scienza ci dia quelle certezze che grazie a Dio esulano dai suoi compiti.


Magari se entreranno nel sito faranno come il naturalista Colin Tudge: «Credevo nell’onnipotenza e nell’onniscenza della scienza, ora ho capito i suoi limiti e penso che non vederli sia molto pericoloso».

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