Cultura e Spettacoli

Corso di sopravvivenza per editori

 Soffocate dai giganti e sommerse di rese, le case «minori» si preparano a un 2009 difficile. Fra le strategie: "file" al posto dei volumi, romanzi venduti come tranci di pescespada e le intramontabili bancarelle

Si salvi chi può. O meglio, si arrangi chi può. I piccoli editori italiani, una galassia, rischiano di perdersi nel vuoto cosmico. Tutti insieme, e sono migliaia, coprono una quota di mercato complessiva che si aggira intorno a un decimo del venduto in libreria. Secondo dati resi noti nel corso della Settima Fiera della piccola e media editoria di Roma, la settimana scorsa («Più libri più liberi»), i titoli dei piccoli e medi editori coprono a malapena una libreria su cinque in Italia. Vale a dire che i loro prodotti sono fisicamente presenti solo in 356 librerie, e spesso anche lì sono quasi invisibili, relegati negli scaffali o sommersi dalle pile di titoli delle «major».

Un danno culturale enorme, perché i piccoli editori, pur con i loro bilanci limitati, sono spesso gli unici a svolgere un’autentica ricerca sui titoli e gli autori. Gli unici a creare un catalogo che salvi dall’oblio lavori di narrativa e saggistica degni di entrare nel patrimonio comune della conoscenza.

Ma il mercato s’impone. Rivela il suo volto più spietato: sembrano esistere solo i titoli del momento, quelli imposti dalla grande distribuzione con la complicità dei media, quelli che comunque ruotano sempre più vorticosi ed effimeri nelle vetrine e sui banchi delle novità. Il resto è un mondo sommerso.

Si arrangi, dunque, chi può. Perché l’alternativa è il fallimento: Gianni Peresson, direttore dell’ufficio studi dell’Associazione italiana editori, non nasconde le sue preoccupazioni. «Il 2009 - dice - partirà carico d’incertezze. I librai tendono a proteggersi, esercitando il diritto di resa dei libri presi in carico, e con la massima prudenza nelle nuove ordinazioni. Questo anche per evitare problemi con le banche». In altre parole, il congelamento dei crediti e i piedi di piombo dei dettaglianti danneggeranno soprattutto i più deboli. Molti libri, già programmati per i primi mesi dell’anno, non usciranno neppure. E pazienza per chi li aspettava da tempo, per necessità di studio o per curiosità personale.

Ma ecco come arrangiarsi. Perché la speranza non muore. La piccola editoria di qualità muta pelle e destinazione. E si allinea alle nuove tecnologie. Andiamo con ordine, attraverso qualche esempio. La casa editrice Meltemi, di Roma, fondata 14 anni fa e diretta da Luisa Capelli, ha lanciato un appello sul proprio sito Internet invitando chiunque a sostenerla attraverso l’acquisto di volumi da donare eventualmente alle biblioteche pubbliche. «Avremmo potuto tacere e scomparire in silenzio, come è accaduto a molte realtà editoriali \ o attendere un salvataggio di qualche gruppo o editore più grande interessato agli autori più prestigiosi del nostro catalogo», specifica l’appello. Ma Luisa Capelli vuole darsi un’altra possibilità. «Noi - spiega - produciamo solo saggistica e da anni lavoriamo nel mondo universitario. In futuro ridurremo il numero di novità destinate al pubblico e arriveremo magari a produrre soltanto un file digitale del testo, perfettamente tradotto e impaginato stampabile a pagamento da chi ne faccia richiesta». Libri, dunque, stampati in poche copie perfettamente corrispondenti alla domanda. Meno offerta cartacea destinata a rimanere in magazzino ad ammuffire.

Le nuove tecnologie digitali consentono lo sviluppo del «print on demand», fra i cui pionieri c’è la sigla, ormai autorevole, di Lampi di Stampa. E poi ci sono i piccoli editori che, lavorando con attenzione, pescano il pesce grosso. I giovani palermitani della Duepunti edizioni hanno allestito uno stand fatto come una pescheria, si sono messi i grembiuli e hanno venduto i loro prodotti come fossero tranci di spada o acciughe o branzini. «Siamo al terzo mese di distribuzione con Pde (rete distributiva acquisita da Feltrineli, ndr) - dice Giuseppe Schifani - e ci troviamo con un titolo che fa da traino: Il verbale, di J.M.G. Lé Clezio, premio Nobel per la letteratura nel 2008». E infatti questo libro si trova in questi giorni nei supermercati, proprio accanto ai bestseller di Wilbur Smith e non distante dai banchi del pesce. Così il cerchio si chiude. E tuttavia, così come ci conferma Andrea Carbone, sempre della Duepunti, «meglio affiancare all’attività di editori di libri quella di service e di consulenza, in modo da garantirsi entrate sicure. E poi, non fare il passo più lungo della gamba».

È quello che credono anche le giovani leve di Elèuthera, una casa editrice con sede a Milano, di matrice libertaria e nota soprattutto per aver pubblicato gran parte dei libri di Kurt Vonnegut, scrittore americano di culto in Europa. «Nel 2009 - ammettono - soffriremo. Ma siamo abituati alle tirature basse. Il nostro distributore non renderà».

E in effetti, questo «diritto di resa», su cui sempre più si discute, se da una parte garantisce pluralità all’offerta di titoli (il libraio li compra anche se non è sicuro di venderli, potendoli restituire), dall’altra pende come una spada di Damocle sulla testa dei piccoli. Molti, di fronte a una resa massiccia, fallirebbero. Per spiegare con un esempio: è lo stesso rischio di molte banche, se tutti i correntisti si presentassero insieme a ritirare i propri risparmi.

Di conseguenza nasce e si espande sempre più, in Italia, il cosiddetto «secondo mercato». Catene di librerie, o mercatini, o bancarelle, «indipendenti», che acquistano direttamente dagli editori, a prezzi bassissimi. E vendono le novità con lo sconto. A volte si spingono fino a veri e propri «saldi», con cestoni di libri, anche ottimi, a buon mercato.
Accade, giusto per fare un esempio fra i tanti, in via Po a Torino, sotto i portici a pochi passi dall’università. I distributori chiudono un occhio, almeno per ora.

Sono schegge residue di old economy che svolazzano in un mondo folle.

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