Controcultura

Così i grandi di Hollywood ora si danno al piccolo

Soderbergh gira un film con lo smartphone, Van Sant si affida ad Amazon e Scorsese passa a Netflix

Così i grandi di Hollywood ora si danno al piccolo

Gli amanti della decrescita felice già battono le mani. Più la crisi si incista e più avanza la fine degli studios hollywoodiani, dei finanziamenti importanti, dei film girati in settimane e settimane sui set aperti in perdita, dei divi esosi e capricciosi. Succede che i soldi sono finiti e la Settima Arte ha imboccato il viale del tramonto: perché, dunque, non approfittare delle nuove tecnologie, leggere e sostenibili, e andare in sala, ai festival, in streaming, in maniera diversa da quella fin qui nota? Non si tratta di ragionamenti astratti, ma di realtà in via di consolidamento, se icone del cinema indipendente come Gus Van Sant e Steven Soderbergh girano i loro film con lo smartphone e li vendono su Amazon. Non senza sfilare nei festival importanti: Unsane (dal 14 giugno sugli schermi), horror-thriller di Steven Soderbergh, girato in 10 giorni col telefonino, ha appena fatto passerella al festival di Berlino, in concorso. Sfruttando la trama basata sullo stalking digitale e sui deliri che ne derivano, il regista, tornato al lavoro dopo un'intensa frustrazione nello show-business, ha ritrovato la propria creatività grazie al telefonino.

«Il principale vantaggio di un iPhone è che potevo piazzare l'obiettivo ovunque volessi. Ho usato tanti primissimi piani, con la lente vicina al volto degli attori. Non è una composizione tipica per me, ma sentivo che era necessario per un film che doveva essere molto visuale. Tutti usiamo i telefonini per fare foto e la familiarità col congegno minimizza negli attori la sensazione di stare girando un film. Dopo i primi dieci minuti, quando il pubblico s'immerge nella storia, la tecnologia diventa un fenomeno secondario» spiega Soderbergh, che ha apprezzato al massimo sensori piccoli, fuoco selettivo e controllo totale della tecnica. E se ha cambiato registro uno dei più acclamati cineasti Usa, che ha firmato Erin Brokovich, Traffic, Ocean's Eleven e Solaris, possiamo pensare d'essere all'alba di un nuovo cinema. Piccolo, ma efficace.

Per un indipendente di razza come Steven Soderbergh, classe 1963, che se la gode risparmiando, un veterano di lusso come Martin Scorsese, cioè un filmmaker globale, ha appena speso 140 milioni di dollari per realizzare il film di gangster The Irishman, col suo attore-feticcio Robert De Niro nei panni di Frank Sheeran, sindacalista e criminale: Marty e Bob sono alla loro nona collaborazione. Però c'è Netflix dietro la possibilità di vedere questo filmone che riunisce Al Pacino, nel ruolo di Jimmy Hoffa e per la prima volta sul set di Scorsese, e Joe Pesci in uno straordinario racconto, basato sul libro di Charles Brandt L'irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa (Fazi Editore). Da noi, la casa cinematografica distributrice Lucky Red era in predicato per distribuire L'Irlandese, ma poi Netflix si è imposta. Il nuovo Mogul del sofà, che mette in Rete e in tv roba da Oscar: nel 2018, i film mandati sulla sua piattaforma hanno ricevuto un totale di 8 nomination. Dopo tutte le contestazioni dell'anno scorso, a Cannes, col tempio del cinema violato dalla presenza digitale di Okja, film Netflix diretto dal sudcoreano Bong Joon-ho, le cose sembrano essere cambiate. Non si notano più differenze tra film per il piccolo schermo, del computer o della tv, e film pensati squisitamente per il grande schermo. Improbabile, dunque, che un coro di fischi possa accogliere il logo Netflix al suo primo apparire in un qualunque festival, appaiato al nome d'oro di Scorsese. Il cinema cambia il suo Dna e l'elica si avvita lungo i pixel.

Un'altra icona della scena indipendente, Gus Van Sant, cerca intanto una via intermedia. Il suo nuovo film Don't Worry, He Won't Get Far on Foot, passato in concorso alla Berlinale, con un bravissimo Joaquin Phoenix nel ruolo del disegnatore di fumetti ribelle John Callahan (in coppia con Rooney Mara), è girato in maniera classica, sebbene presenti una struttura di racconto frammentaria, con parecchi su e giù nella storia dell'artista alcolizzato. Però Van Sant, avvezzo a vari tipi di cinema sentimentale e drammatico (come Elephant, nel 2003 Palma d'oro a Cannes), si è rivolto al global player Amazon per veicolare il suo prodotto, d'altronde arricchito da icone musicali indipendenti: Beth Ditto, Carrie Brownstein e Kim Gordon, che facevano parte per davvero della vita di John Callahan e che non sono propriamente il brodo d'una platea cinematografica che invecchia sempre più.

Il cinema diventa piccolo e si ridimensiona, dunque, man mano che le nuove tecnologie consentono un approccio narrativo più snello, meno costoso e più diretto.

Del resto, ai suoi tempi Roberto Rossellini scendeva in strada e girava capolavori come Viaggio in Italia (1954) con la macchina a spalla, senza l'ausilio di apparecchiature sofisticate.

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