Controstorie

Così l'Africa dimostra che il potere non logora Le storie dei presidenti con il mandato infinito

Da Biya in Camerun a Dos Santos in Angola Carismatici, bizzarri, violenti o deliranti: sono tanti i leader al comando da decenni

Luigi Guelpa

Ricordate il Camerun di N'Kono e Milla che ai mondiali di Spagna del 1982 pareggiò con l'Italia? Al rientro in patria la delegazione africana venne accolta e premiata, per meriti sportivi, dall'allora capo di Stato Paul Biya. Allora come oggi, perché dopo 35 anni è ancora lui a guidare il paese. Tanto per capirci in Italia il presidente era Pertini, negli Usa Reagan festeggiava il suo secondo anno da inquilino della Casa Bianca. In Unione Sovietica Gorbaciov era uno zelante funzionario del partito comunista e non si cimentava con la perestroika, mentre il Muro di Berlino si stagliava minaccioso nella sua essenza di monolite della Guerra Fredda. Miguel Bosè spopolava con Bravi Ragazzi quando Biya vinse le elezioni, ma lui è «ancora qua, eh già», come direbbe Vasco Rossi, in plancia di comando a colpi di stravolgimenti delle carte costituzionali, per continuare a vivere nel parco tematico dei dinosauri della politica africana. Biya controlla il Continente Nero assieme a una pattuglia di presidenti eterni. Alcuni violenti e fautori di una diffusa cleptocrazia, altri semplicemente carismatici, altri ancora dotati di un'indole bizzarra che sfocia nel delirio.

Tanto per cominciare è necessario sfatare una leggenda afro-metropolitana: non è Biya il più longevo, c'è chi è riuscito a fare di meglio in Africa, l'angolano Josè Eduardo Dos Santos, incollato allo scranno presidenziale dal settembre del 1979. Lo scenario politico è ancora fortemente condizionato da personaggi come Biya e Dos Santos, che mantengono il potere a vita, grazie soprattutto alla vigilanza di ingenti risorse finanziarie che si traducono in via quasi esclusiva nelle spese per il controllo delle forze armate. Sono presidenti per sempre a capo di democrazie malate in paesi da dove provengono, purtroppo spesso, i migranti. La Costituzione in alcuni casi non prevede neppure un tetto di mandato e quando lo prevede è un attimo ribaltare la situazione a proprio favore. Lo sa bene Yoweni Museveni, che ha fatto letteralmente carte false per festeggiare di recente il suo quinto mandato da presidente dell'Uganda. Iniziò a guidare il Paese nel 1986, un dilettante se paragonato a Teodoro Obiang Nguema, dall'ottobre del 1979 a capo dell'oligarchia che detiene il potere nella Guinea Equatoriale. Nell'ex colonia spagnola si ascolta una sola radio, non esistono librerie e la stampa è in balìa di un ambiente mediatico tra i più repressivi dell'Africa.

Altro presidente di lunghissimo corso è Robert Mugabe, che da 30 anni regge col pugno di ferro le sorti dello Zimbabwe. Conta sei mandati presidenziali consecutivi durante i quali ha espropriato le terre dei bianchi. L'anno prossimo si ripresenterà e se dovesse passare a miglior vita (ha 93 anni) ha già annunciato che candiderà la propria salma. «Del resto - ha dichiarato in tv - non ho mai promulgato alcuna legge per impedirlo». Il suo più noto «successo» economico è quello di aver portato lo Zimbabwe nel 2008 a un'inflazione del 231 milioni per cento. Interessante il giudizio che l'arcivescovo Desmond Tutu ha dato di lui: «È il prototipo del dittatore africano dei fumetti». E a proposito di comics o manga non è raro trovare alcuni presidenti africani trasformati in supereroi in uno slancio estremo di autocelebrazione. Come per il defunto capo di stato togolese Etienne Gnassingbé Eyadéma. La biografia ufficiale lo dipinge come uomo di pace e di dialogo, che grazie alla sua pazienza e alla sua conoscenza degli uomini seppe evitare la guerra civile in Togo. La realtà è ben diversa: Eyadéma, arrivato al potere nel 1967 con un colpo di stato, fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 2005. Instaurò un regime autoritario e repressivo, ereditato dal figlio Faure, al potere ancora oggi. Entrambi appaiano su un fumetto diffuso nelle edicole della capitale Lomé in abiti militari, pronti a sconfiggere a colpi d'arma da fuoco i nemici (immaginari) della sicurezza nazionale.

L'Africa sub-sahariana è una fioritura di personaggi che mettono a punto qualsiasi strategia pur di non abbandonare il potere. Il presidente del Ciad, Idriss Deby, è al quinto mandato consecutivo. Governa il paese dal 1990. In Burundi Pierre Nkurunziza, in sella dal 2005, è stato rieletto per la terza volta. L'evento ha scatenato una grave crisi politica e umanitaria, con una spietata repressione degli oppositori. Nella Repubblica del Congo Denis Sassou Nguesso guida il paese con il pugno di ferro dal 1979 al '92 e dal 1997 a oggi. In Gabon invece la successione è dinastica ed è una questione privata della famiglia Bongo. Omar, il padre, ha governato il paese per 41 anni, alla sua morte, nel 2009, è subentrato il figlio Ali. I Bongo di fatto sono sopravvissuti a tutti i presidenti della Quinta Repubblica francese, da De Gaulle a Macron. Detengono tra l'altro un singolare primato: sono al primo posto tra i capi di stato mondiali per importazione di champagne dalla Francia.

Joseph Kabila, alla guida della Repubblica democratica del Congo (l'ex Zaire) dal 2001, continua a rimandare le elezioni. Per lui sarebbe il terzo mandato, ma la Costituzione lo vieta e nel frattempo il Paese vive da decenni una guerra civile che ha provocato oltre 6 milioni di morti. E che dire di Paul Kagame, capo di stato del Rwanda dal 1994? L'uomo che la Francia accusa senza troppi giri di parole di aver avuto un ruolo centrale nello sterminio tra hutu e tutsi, ha modificato le leggi così da poter rimanere in sella fino al 2034. Sulle montagne russe di deliri da lungo corso ci si imbatte anche nel feroce Isaias Afewerki, dal 1993 primo e anche unico presidente dell'Eritrea. Ha trasformato una nazione grande quanto un terzo dell'Italia in un lager, come il gambiano Yahya Jammeh, deposto lo scorso gennaio dopo 23 anni di dittatura e e riparato in Guinea Equatoriale dal già noto Obiang.

Non è casuale quindi che i migranti di Eritrea e Gambia siano i più numerosi tra coloro che salpano dalla Libia per raggiungere le nostre coste.

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