Roma

Così la Tartaruga ha vinto la corsa dell’arte

Tre anni fa se ne andava Plinio De Martiis (Giulianova, 1920), simbolo di un’epoca, gli anni Sessanta, che hanno lasciato il segno, gallerista di razza, noto anche come «il cane da tartufo», per la sua abilità nel riconoscere i talenti. Tutti straordinari quelli passati per la Tartaruga, aperta nel ’54 a via del Babuino. Un’idea nata per caso, con il nome estratto a sorte dal cappello di Mario Mafai. Inizia così l’avventura di una galleria che, a Roma, ha fatto storia. E, dopo cinquanta anni, la città ricorda il suo patron nella sede della regione Abruzzo, sua terra d’origine, con la presentazione della mostra «L’arte e la Tartaruga: omaggio a Plinio De Martiis. Da Rauschenberg a Warhol, da Burri a Schifano» (dal 3 marzo al 20 maggio, alla Galleria civica d’arte moderna «Vittoria Colonna» di Pescara).
Oltre 150 opere, per raccontare uno spazio che, all’attività espositiva, ha sempre affiancato la ricerca e il dibattito intellettuale. Tre sezioni testimoniano le sue molte passioni, dalla pittura - un centinaio di opere, realizzate dai grandi artisti che, tra gli anni ’50 e gli anni ’70, hanno lavorato con lui - alla fotografia, con cui debutta, giovanissimo, sull’Unità. Un amore sacrificato, in parte, a quello per l’arte, ma mai dimenticato. «E pensare che Burri mi aveva raccomandato il contrario - confessava in un’intervista del ’93 all’amico Duccio Trombadori -. “Perché lavora per gli altri? Lei deve lavorare per sé”, mi diceva». Ma, per uno scherzo del destino, ha preso un’altra strada. «Dividevamo i pasti da Menghi in via Flaminia. Dorazio, Perilli, Turcato, Scarpetta e Mafai: tutti a dirmi di “fare come Nadar”, fotografie e mostre d’arte. Per loro era l’ideale che un compagno di strada si mettesse a esporre i loro quadri», continua, nel racconto a Trombadori. La fotografia, però, è rimasta a documentare quegli «anni originali» (come si intitolava una mostra, ospitata nella sua galleria di Castelluccio di Pienza), immortalando le icone dell’epoca. «Ripensandoli oggi - scriveva De Martiis sulla rivista La Tartaruga, nell’89 - sembrano anni miracolosi: un decennio frenetico, un lungo dopoguerra misero e scalcinato, ma così ricco e denso di genialità». E, dopo la prima generazione, già affermata, degli anni ’50, è la volta dei «belli e dannati» degli anni ’60: Angeli, Festa, Schifano, Fioroni, Manzoni, Pascali. Una stagione magica, inaugurata da Kounellis e chiusa da Paolini. Nel ’68, per metabolizzare quella esplosione di creatività, nasce il «Teatro delle Mostre»: un evento al giorno, per ogni artista che ha esposto in galleria. Esperienza di confine che, quando l’arte inizia a farsi effimera, cambia formula. Chiusa la storica sede vicina a piazza del Popolo, la Tartaruga riapre nel ’70 in via Principessa Clotilde. Per tutto il decennio, e fino alla metà degli anni ’80, continua a essere un punto di riferimento per le avanguardie. Non solo galleria, ma anche laboratorio di idee e contenuti originali. Come i cosiddetti «cartelli della Tartaruga», locandine «d’autore» che De Martiis faceva realizzare ai suoi artisti. Una collezione unica, acquistata dall’Istituto nazionale per la grafica.

A Pescara, se ne potranno ammirare una dozzina, tra cui il piccolo capolavoro, composto a quattro mani da Manzoni e Castellani nel ’61.

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