Cultura e Spettacoli

"Così trasmetto in tv la moda italiana a 150 milioni di cinesi"

Ha iniziato con Costanzo, prodotto la Carrà, ha canali di fashion e nautica visti in tutto il mondo: "Il segreto? Semplice: il made in Italy"

"Così trasmetto in tv la moda italiana a 150 milioni di cinesi"

Ci sono 280 milioni di persone che ogni giorno guardano i programmi della televisione italiana. No, non è la Rai, come diceva il titolo di una famosa trasmissione, ma il frutto del lavoro di un gruppo che ha la sua sede in centro a Milano. Davanti alla Borsa, per la precisione. Piazza Affari. E che trasmette dall'America fino alla Cina contenuti che spaziano dalla nautica al fashion, il tutto rigorosamente made in Italy. Sul Giglio Group insomma, come dice il video che lo presenta, «non tramonta mai il sole». E su Alessandro Giglio splende evidentemente una stella che lo ha portato ad essere l'uomo della televisione nel mondo: «Come definirei il mio gruppo? Sicuramente il leader di un settore che ci siamo creati da soli, sfruttando ciò di cui siamo campioni riconosciuti dappertutto: la nostra innata qualità per la bellezza. La verità è che poi siamo noi italiani a non credere mai nell'Italia. In tv trasmettiamo fiction importate da chissà dove pensando di essere più internazionali. Gli internazionali, invece, siamo noi».

In pratica, tanto per capire il business, ora che c'è stato il passaggio dall'altra parte della piazza per l'approdo nel listino delle contrattazioni, la sua azienda è finita nel mirino di Prima Tv Spa, la società controllata da Tarak Ben Ammar e da Naguib Sawiris che puntano ad acquisire una corposa partecipazione. E quindi, tanto per capire il personaggio, questa è la sua scheda sul sito di Confindustria Radio Televisioni: «Genovese, classe 1965. Dopo aver conseguito la Laurea Magistrale in Scienze dello Spettacolo e Produzioni Multimediali, diplomato presso l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica, un master alla LUISS in Management ed un corso di specializzazione al Commercial Theater Institute di New York, ricopre vari incarichi tra cui: Vicepresidente nazionale UNAT- AGIS, membro del Comitato tecnico del Ministero del Turismo e dello Spettacolo e General manager per l'Europa della MGE».

Altro da dichiarare?

«In realtà bisogna partire da tanti anni fa, da quando - e soprattutto come - ho cominciato: a 18 anni con Maurizio Costanzo. Anzi: direi grazie a Maurizio Costanzo».

La televisione coi baffi...

«Altroché. Una vera scuola: Costanzo mi ha insegnato cosa vuol dire essere davvero un professionista. Prima di allora non ero mai stato in uno studio televisivo e ho scoperto cosa vuol dire lavorare davvero: lui era – e sicuramente lo è ancora – una vera macchina da guerra. In servizio 16 ore al giorno e senza problemi. E poi Costanzo mi ha fatto conoscere Alberto Silvestri».

Il suo autore storico.

«E il mio vero maestro. Un uomo di grande cultura che veniva dal teatro, che aveva frequentato gente come Marcello Marchesi e Flaiano. Conoscere lui mi è servito più di tanto altro, anche perché poi ho lavorato anche per il teatro con Giuseppe Patroni Griffi».

Nella sua carriera c'è anche la Carrà.

«Di più. Sono stato il produttore di Carramba che sorpresa , Raffaella è una vera professionista che ha una cura del dettaglio pazzesco. Anche questo è un particolare che non avevo e che ho dovuto imparare. E quindi dovevi continuamente starle dietro, perché per lei era tutta una prova, un test, non c'era spazio per l'improvvisazione. Tutte cose che ormai la tv di oggi ha perso».

Un vero trampolino di lancio.

«In realtà è stato l'inizio del declino, quantomeno per la televisione italiana. Dopo Carramba si è cominciata a vedere la crisi: budget che calavano, pochi spazi per l'innovazione. Così decisi di passare da autore ad editore e mi inventai Music Box, il canale interattivo che andava sulla piattaforma Sky. Il problema è poi stato l'arrivo del digitale terrestre che ha trasformato la tv e dunque servivano idee nuove».

Ad esempio la nautica.

«Ad esempio: altro settore in cui siamo maestri nel mondo. Giglio Group è nato nel 2003, abbiamo cominciato a lavorare con Yacht&Sail e nel frattempo, nel corso degli anni, abbiamo cominciato a produrre contenuti per altre piattaforme. Tutto questo è diventato Nautical Channel che ora è distribuito in tutto il mondo ed ha milioni di spettatori. E poi anche Acqua , il canale nato dalle ceneri di Yacht and Sail e che con Play.me è sono visibili in Italia sul digitale terrestre. Ma soprattutto c'è Giglio Tv ».

Cioè la tv del fashion.

«Che sta riscuotendo grandissimo successo in Cina, dove abbiamo la maggior parte del nostro business. Anche in questo caso produciamo contenuti e abbiamo accordi con la televisione di Stato. Ovviamente, visto il numero della popolazione, facciamo numeri incredibili: abbiamo un programma settimanale che è visto da 150 milioni di spettatori. Si chiama Made in Italy, naturalmente».

Centocinquanta milioni?

«Sì, centocinquanta. Lì la tv non è più in salotto, è dappertutto».

E come si riescono a raggiungere 280 milioni di telespettatori al giorno in tutto il mondo?

«Ovviamente facendo produzioni di qualità. Il resto lo fa il fascino italiano».

Una curiosità: dicono che fare affari con i cinesi sia dura.

«Guardi, io di cinese ne ho sposata una e dunque... L'ho conosciuta a Milano però, lavorava per una società sponsor in Formula 1. Poi ci siamo frequentati a Shanghai e adesso ho anche figli. Cinesi».

Sì, ma il business?

«È semplicissimo, perché le nostre culture sono in realtà molto più vicine di quanto si pensi. Per essere chiari: è più facile capirsi con un cinese che con un tedesco. Diciamo che con i cinesi bisogna avere pazienza».

In che senso?

«Innanzitutto: non ci vuole un traduttore ma un negoziatore. La differenza? Il primo ripete senza capire il contesto, il negoziatore sa invece esattamente cosa e come va tradotto l'italiano al cinese. E questo è l'errore fondamentale che fanno molte aziende che vanno là a trattare. Insomma: bisogna evitare quello che io chiamo lost in translation ».

Altro consiglio?

«Non diventare matti per la mancanza di sequenzialità».

Sarebbe a dire?

«I cinesi sono circolari: se si trattano dieci punti, noi quando siamo arrivati all'ultimo pensiamo che quelli prima siano dati per fatti. Loro invece ricominciano da capo e noi, appunto, diventiamo matti. Però c'è una cosa su tutte: i cinesi rispettano i contratti che sono a loro vantaggio. Se pensiamo di fregarli, ci fregano loro».

Mica scemi...

«Appunto. In Cina i contratti valgono come una nostra lettera d'intenti, ma questo vuol dire che loro sono pronti a rinegoziarli anche se glielo chiediamo noi. Ci vuole realismo e buona fede, pensare loro non come fornitori ma partner».

Risultato: un successo. Ma la tv italiana che fine farà?

«È un momento difficile. La crisi del mercato della pubblicità ha portato i grandi gruppi a farsi del male, l'avvento della banda larga cambierà tutto lo scenario. E aumenteranno i produttori di contenuti e di eventi».

E quindi il Giglio Group...

«E quindi stiamo per espandere il canale nautico in Sudamerica e in Canada, ma il vero core business resta in Cina. E saremo sempre più multimediali, le svelo un anteprima».

Dica.

«In Cina, dicevo, la tv la guardano tutti su tablet o smarphone. Così stiamo sperimentano il second screen , ovvero la possibilità di accedere ai dettagli, per esempio di un vestito che sta sfilando in video, semplicemente toccandolo. Con la possibilità a quel punto di comprarlo immediatamente online».

Fantascienza...

«Ma và, funziona. Garantito».

Sicuro?

«Sicuro. Anche quello è made in Italy...

».

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