Controcultura

Così Walter Chiari sfotteva il Führer davanti ai tedeschi

A Cremona, durante la guerra, l'attore andò sul palco coi baffi da dittatore per un monologo sulla stitichezza

Così Walter Chiari sfotteva il Führer davanti ai tedeschi

Cremona, anni di guerra. Al Teatro Politeama Verdi, una sera, va in scena uno spettacolo di varietà, che strappa gli applausi del vasto pubblico. A un certo punto, appare sul palco un giovane così emaciato da sembrare febbricitante. Bastano pochi istanti per comprendere che quel ragazzo ha della stoffa e del coraggio, al limite della temerarietà. Il baffetto tremolante posticcio, sopra il labbro, lascia tutti attoniti, senza fiato. L'episodio viene qui ricostruito per la prima volta nei suoi reali contorni.

L'esordiente si produce in un'audace imitazione di Hitler: talmente esilarante da scatenare un'ovazione. Assunta la posa oratoria del Führer, si rivolge agli spettatori in un improbabile tedesco-lombardo: «Caghen se poden, se poden no, se purghen! Se caghen tropp, i cess se ingürghen, e i tübi se intasen! A Milan, quand piööf, i strunz sul marciapé scarlighen...».

A parte il linguaggio, e il tema, quello delle difficoltà della defecazione, sono la mimica facciale, e il calco perfetto della convulsa gestualità dell'invasato di Berlino, a suscitare una marea d'incontenibile ilarità; quasi, anzi senza quasi, uno sfogo liberatorio, nei confronti di un alleato che ha sempre considerato con sufficienza, se non con disprezzo, i soldati italiani.

Quel pazzo di Hitler che, in dialetto milanese, urla e si contorce per gli spasmi delle vie intestinali, ha la faccia rossa come un cocomero, rappresentando le pene e le gioie dell'evacuazione: «De tütt i omen parlen, disquisissen, critichen, ma un argumenten tralassen, igh-noren! I omen a tütt pensen, ma l'intestin trascüren: de strunz mai parlen! Disen che se vergognen. Mai descriven se inn gross, u strett, u lungh, u cürt, i strunz che vegnen föra dal bunkerpanzer! Parlemm di omen quand caghen. I omen al cess a curren... i gross cintùr se slassen, i bragh sbutonen, che pöö al genöcc se fermen, i mudandun a calen, e i ciapp del cüü in tütt el luur fulgur se svelen!».

Quel ragazzo che regala lunghi minuti di puro paradiso ai cremonesi è Walter Chiari, classe 1924. Il suo «discorso del Führer» era uno degli sketch che cominciavano a procurargli la prima notorietà pubblica. Una volta, quando ancora lavorava in banca, era salito su una scrivania e aveva improvvisato, per i colleghi, l'irresistibile monologo, che però gli era costato l'impiego.

Il testo originale del numero al «Verdi» di Cremona non lo possediamo, perché un documento sonoro non esiste. Sappiamo però che, negli anni del conflitto, circolava, in Lombardia, una versione popolare della parodia di Hitler, dalla quale probabilmente Chiari trasse ispirazione. L'attore stesso, nel dopoguerra, incise su disco una rivisitazione del discorso.

Quanto agli esordi artistici di Walter, le biografie narrano che, una sera di gennaio del 1940, al Teatro Olimpia di Milano aveva preso parte al «quarto d'ora del dilettante», e il suo repertorio gli era valso il primo ingaggio nel mondo della rivista. Nel 1942 si unì a una compagnia che svolgeva tournée nelle città di provincia.

Quella sera, a Cremona, però, vi furono complicazioni. Per cominciare, il capoluogo padano era dominato dal ras Roberto Farinacci, che ebbe tra i vari soprannomi anche quello di Gauleiter, per via della sua linea favorevole alla Germania hitleriana. Ma, in special modo, nella platea del «Verdi» sedevano molti ospiti tedeschi, per cui fu necessario correre ai ripari, essendo noto che il senso dell'umorismo non fosse la dote principale dei nazionalsocialisti.

Fortuna volle che, ad assistere all'esibizione di drammaturgia comica di Chiari, ci fosse la figlia del gerarca, Adriana, una giovane donna, intelligente e spiritosa. Questa riferì al padre quanto successo, invitandolo a presenziare alla replica dello spettacolo. Farinacci, benché considerato il più filogermanico dei capi del regime fascista, fin dal 1941 aveva cominciato a prendere le distanze dai «camerati tedeschi». E addirittura, nella tarda serata del 26 luglio 1943, al Quartier generale del Führer, la Tana del Lupo di Rastenburg, nella Prussia Orientale, ove fu condotto, ebbe un violento alterco con Hitler.

Il ras di Cremona disse però alla figlia che non considerava prudente, né dignitoso, per la sua figura politica, assistere a uno spettacolo in cui si metteva il dittatore nazista alla berlina. Quindi fece convocare Walter Chiari nel suo studio privato. Quando il giovane talento ripeté il pezzo in sua presenza, Farinacci sulle prime cercò di mantenere un contegno («Se i strunz inn grossen, i omen patissen. Se pieghen, i öcc saren, i dent a stringenn»...), ma poi scoppiò in una fragorosa risata. Alla fine, raccomandò a Chiari di non far parola con nessuno del numero recitatogli in privato.

La fulgida carriera artistica di Walter dovette però fare prima i conti con gli obblighi della guerra. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, è chiamato alle armi e si arruola nella Decima Flottiglia Mas, lavorando, insieme a Ugo Tognazzi, al settimanale del corpo, come vignettista satirico. Entrambi conducono anche alcuni programmi di «Radio Fante», un'emittente, con sede a Milano, destinata a informare le truppe della Repubblica sociale italiana.

Coinvolto nei combattimenti seguiti allo sbarco alleato in Normandia del 6 giugno 1944, dopo un periodo di addestramento a Francoforte è assegnato alle batterie contraeree tedesche che, alla fine dell'autunno di quello stesso anno, vengono disposte alla frontiera tra Francia e Belgio.

Crollato il fronte del Reno, nel febbraio del '45 l'attore riesce a passare il confine svizzero, attraverso i boschi, raggiungendo prima Neuchâtel e in seguito Basilea. Grazie all'aiuto di una famiglia, rientra in Italia. Dopo la Liberazione, Walter Chiari viene internato nel campo di Coltano, vicino a Pisa, dove sono concentrati i prigionieri militari italiani che avevano combattuto con la Rsi.

Una punizione davvero paradossale per chi aveva sbeffeggiato in quel modo Adolf Hitler.

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