Politica

Costa: «Troppe norme, è impossibile cacciarli»

Metà degli insegnanti hanno conservato il proprio posto. Molti nello stesso istituto

Gabriele Barberis

Onorevole Costa, il professore Ichino sul Corriere ha aperto il dibattito sulla licenziabilità dei dipendenti statali fannulloni. Gli chiederà i diritti d’autore?
«Se ne sono accorti con un po’ di ritardo...».
Raffaele Costa, oggi presidente azzurro della Provincia di Cuneo, ieri pluriministro liberale antiburocrazia, denunciò già nel 1984 gli imboscati nella pubblica amministrazione con il saggio «Il dottore è fuori stanza». E quando nei primi anni 90 guidava dicasteri come i Trasporti e la Sanità si rese famoso per i blitz condotti in prima persona sui treni e negli ospedali per verificare le denunce di semplici cittadini.
Cacciare i pelandroni dagli uffici pubblici è una questione da porre all’ordine del giorno?
«È una battaglia un po’ superata, almeno da 15-20 anni, ma ben venga. Ma non dimentichiamo che la situazione è molto migliorata: in generale c’è sempre un eccesso di presenze, senza però toccare i livelli scandalosi di allora».
Il momento più nero per l’inefficienza degli impiegati dello Stato?
«All’inizio degli anni 80, tasso di assenteismo del 10%. Il direttore di un ministero arrivò a farmi questa confessione: “Ho 1.800 dipendenti in organico, ma spero che oggi non se ne presentino più di mille. Avrei solo uffici ingolfati e gente che gira a vuoto al di fuori di ogni controllo”».
E quando si voltò pagina?
«Per quanto mi riguarda, nel 1981 introdussi i controlli elettronici delle presenze alla Farnesina quando ero sottosegretario agli Esteri. Ricevetti proteste e lettere insolenti dai diplomatici, che si dicevano umiliati dal timbro del cartellino. Soltanto un mese dopo l’80% del personale faceva le 6 ore regolari di lavoro, e i recalcitranti furono subito richiamati».
Come reagì il mondo politico e sindacale quando lei, negli anni 80, denunciò l’assenteismo cronico nei principali apparati burocratici del Paese?
«In linea di principio erano tutti favorevoli, ma all’atto pratico le resistenze, soprattutto dal sindacato, furono notevoli. In quegli anni feci organizzare appostamenti fotografici e rilevazioni dell’efficienza negli uffici: scoprimmo pause caffè lunghe 50 minuti e che 30 dipendenti su cento non rispondevano mai al telefono. Anche per questo feci chiudere numerosi negozi all’interno dei ministeri, qualcuno di essi però mi pare sia ancora in funzione».
Come si è evoluta la figura del dipendente pubblico negli ultimi 25 anni?
«Allora erano tanti e pagati poco, oggi la situazione è molto migliorata anche dal punto di vista della retribuzione. Non tutto funziona a meraviglia, ma negli uffici romani oggi si lavora con maggiore impegno».
Onorevole, lei si è sempre creato la fama di fustigatore della burocrazia. Ha mai fatto licenziare qualche fannullone?
«Mai avuto rapporti conflittuali con il personale, più che altro ho sempre posto il problema di attuare controlli sul luogo di lavoro e di incentivare chi lavora tanto e bene».
Allora chi può licenziare il dipendente che s’imbosca o non fa nulla?
«Parliamoci chiaro, la protezione del dipendente nasce dall’eccesso di legislazione.

Un groviglio di norme che rende difficile un richiamo, problematica una contestazione, impossibile il licenziamento».

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