Economia

La crisi finanziaria fa correre gli Etf

Sono forse gli unici strumenti finanziari a non aver risentito della crisi. Anzi, negli ultimi anni gli Etf hanno messo a segno rialzi a doppia cifra

La crisi finanziaria fa correre gli Etf

Sono forse gli unici strumenti finanziari a non aver risentito della crisi. Anzi, negli ultimi anni gli Etf hanno messo a segno rialzi a doppia cifra, anche se il loro mercato è ancora di nicchia e vale circa 16 miliardi di euro contro gli oltre 400 dei fondi comuni di investimento. Utilizzati soprattutto da investitori professionali e sgr, gli Etf stanno comunque trovando spazio anche presso il pubblico retail in virtù dei loro punti di forza: semplicità, trasparenza, liquidabilità. Arrivati in Italia nel 2002, oggi sono oltre 500 gli Etf quotati su Borsa Italiana e insieme con la crescita dell’offerta si è ampliata anche la tipologia che vede oltre ai classici Etf che replicano indici azionari o obbligazionari anche prodotti a leva short o a replica sintetica. Comunque restano sempre una gestione passiva dell’investimento a basso costo vista dalle banche come una concorrenza al risparmio gestito. In realtà, Etf e fondi comuni sono prodotti complementari che possono convivere all’interno di uno stesso portafoglio. L’importante è che questa combinazione avvenga attraverso una corretta asset allocation costruita non con il fai-da-te ma con la consulenza (remunerata fee only) di un promotore finanziario o della propria banca. Finora gli istituti di credito non hanno incentivato gli Etf, considerati alternativi e poco remunerativi, ma il mercato non si può fermare. E anche le banche non potranno perdere la grande opportunità offerta da questo nuovo, promettente mercato. Sono queste le conclusioni della tavola rotonda sugli Etf organizzata da Davide Auricchio e da BancaFinanza. Alla tavola, moderata dal direttore Angela Maria Scullica e da Achille Perego, caposervizio economia e finanza di Qn, hanno partecipato Emanuele Bellingeri, director head of ishares Italy di Black Rock, Silvia Bosoni, head of Etf Listing Italy di Borsa Italiana, Enrico Camerini, head of Italy Credit Suisse Etf, Marcello Chelli, referente Etf per l’Italia di Lyxor, Mauro Giangrande, responsabile db x-trackers Italia di Deutsche Bank, Sergio Trezzi, country head di Invesco Italia, e Antonio Volpe, head of Etf Business Unit Amundi sgr.

Domanda. Il mercato degli Etf ha registrato, anche nel periodo di crisi, una forte crescita e un grande ampliamento dei player e dell’offerta. Questa crescita è destinata a proseguire e come si collocano questi strumenti finanziari rispetto al mondo dei fondi comuni d’investimento?

Trezzi. Parto dai fondi comuni per dire che i dati negativi della raccolta di maggio sono abbastanza relativi, se pensiamo che non tutte le aziende sono rappresentate (in particolare, molte società estere non sono incluse nel report mensile). Vedo invece come gli investimenti in fondi continuino ad aumentare perché il mercato ha iniziato in maniera forte a segmentare i vari player e a distinguere tra gestori indipendenti e non, a prescindere dal fatto che siano nazionali o internazionali. E questo impatto lo si sta avendo anche sugli Etf.  Come assistiamo a una maggiore valutazione nella scelta dei fondi da parte del cliente, sia esso finale o istituzionale, così ci attendiamo lo stesso atteggiamento per gli Etf. Nati qualche anno fa come una grande ondata, hanno registrato una forte crescita per numero, aree geografiche, qualità, novità nelle asset class, tipologia di indici differenti. Ora ci aspettiamo che il cliente faccia una maggiore selezione e questo, a mio parere, metterà in evidenza come fondi ed Etf non sono alternativi ma complementari. Quanto alla crescita accelerata degli Etf rispetto ai fondi è normale perché la base di partenza era più bassa. La crescita è destinata ad aumentare ma la selezione sarà molto forte come abbiamo già visto nel mercato dei fondi e negli Stati Uniti. Io credo che l’Etf di per sé sia un ottimo veicolo per impostare strategie di investimento. Come tutti i veicoli non sarà dominante sul mercato  ma destinato ancora a una grande crescita con l’aumento del numero dei player. Diciamo che in futuro potrebbe crearsi un corretto equilibrio nei portafogli tra Etf e fondi.

Volpe. Negli ultimi anni, la crescita degli Etf è stata sorprendente. Nel 2009, un anno difficile per tanti strumenti, in particolare per i prodotti strutturati, a seguito dell’aumentata sensibilità al rischio di credito, gli Etf hanno registrato in Europa una crescita a doppia cifra. Un risultato che si spiega con una ragione molto semplice: dopo Lehman e la crisi finanziaria del 2008, in particolare gli investitori professionali (gestori di fondi o di mandati) sono andati alla ricerca di prodotti trasparenti per implementare strategie di gestione più flessibili o per avere accesso a una maggiore diversificazione in termini di mercato, settori e asset class. Gli Etf, fondi che replicano passivamente un indice, sono uno strumento estremamente trasparente, conveniente e di facile utilizzo.

Giangrande. Il mercato degli Etf si sta allargando molto. Ci sono nuovi player e più di 500 Etf ed Etc quotati in Italia. A questo punto sorge spontanea la domanda: se l’allargamento dell’offerta è un fattore positivo o negativo per l’investitore, soprattutto in considerazione del fatto che una lista prodotti così estesa può rendere molto complesso il processo di selezione. Io sono dell’opinione che in questa fase del mercato l’ingresso di nuovi player sia da considerarsi un fattore positivo per diverse ragioni: in primo luogo, seppur in forte crescita, il mercato degli Etf è ancora un business di nicchia rispetto a quello dei fondi comuni, considerato che l’asset under management totale in Italia è di circa 16 miliardi di euro contro gli oltre 400 dei fondi. Non poter contare su reti di distribuzione genera la necessità per noi player di fare promozione diretta sul prodotto. Più siamo più possiamo investire in promozione e far arrivare a tutti il concetto dell’Etf. L’altro fattore positivo per l’investitore è che una maggiore concorrenza in tutti i campi migliora le condizioni economiche con le quali vengono proposti i prodotti. Ultimo aspetto fondamentale è che la concorrenza si fa anche sull’innovazione. Il fatto di proporre negli ultimi tre anni Etf collegati non solo a indici classici come il Dax, l’Ftse Mib, l’Eurostoxx ma per quasi tutte le asset class ha permesso agli investitori di accedere a investimenti difficilmente raggiungibili solo qualche tempo fa.

Bosoni. Il 2009 ha rappresentato, per il mercato italiano degli Etf, un anno eccezionale. E il 2010 sta confermando questa tendenza. Il non facile momento di mercato, insieme all’alta volatilità, hanno dato modo agli Etf di emergere come strumenti capaci di attuare molte strategie di investimento; è possibile scommettere sia al rialzo (con gli Etf classici), che al ribasso (con gli Etf short), così come si possono trovare Etf legati a tutte le asset class di interesse: azionario Paesi sviluppati o emergenti, obbligazionario corporate o titoli di Stato, materie prime. L’offerta presente sul mercato Etf plus si è ulteriormente arricchita di tre nuovi emittenti di Etf (raggiungendo quota 11) per un totale di oltre 500 strumenti; stiamo assistendo allo sbarco in Italia dei principali emittenti di Etf, attirati da volumi di negoziazione del nostro mercato decisamente interessanti. Per il terzo anno consecutivo, la piazza italiana si è confermata prima in Europa per numero di contratti conclusi; a maggio la media giornaliera di contratti sul mercato Etf plus è stata di 18.000 per 450 milioni (il doppio rispetto al maggio 2009) e gli spread del mercato si sono assestati a giugno sui 18 basis points.

Camerini. Partirei dalla differenza tra il mondo delle gestioni attive, quindi quello dei fondi e gli Etf. Non bisogna dimenticare che le grandi reti di distribuzione sono di fatto in mano alle banche e quindi il budget dato alle reti spiega i dati sulla raccolta dei fondi. D’altro canto il mercato degli Etf vale 16 miliardi, contro il valore delle gestioni attive che supera i 400. Questo ci fa ritenere che a investire in Etf siano quegli investitori privati qualificati in termini di educazione finanziaria e i professionali. Del resto non è un mistero che a utilizzare gli Etf siano in gran parte i gestori professionali di portafoglio e non gli investitori retail fai da te. Giustamente si è parlato  di come gli Etf siano pubblicizzati come uno strumento trasparente ed efficiente. Questo però vale per il mercato americano. In Europa gli Etf sono venuti con un approccio e, se vogliamo, con uno stile ben diversi da quelli statunitensi. In particolare, attraverso lo sfruttamento più ampio e più intenso delle possibilità di utilizzo degli strumenti derivati in capo ai fondi di diritto europeo (Etf inclusi), gran parte degli Etf quotati in Italia e in Europa erano sin dall’inizio (e sono tuttora) a replica sintetica e quindi non trasparenti, perché non si conoscono le composizioni dei portafogli. Inoltre, acquistando gli Etf a replica sintetica ci si espone al rischio di controparte. Il mercato degli Etf è comunque cresciuto del 30% all’anno; immaginando la crescita futura, i bilanci delle società che fanno solo replica sintetica non saranno sufficientemente grandi per sopportare questo ulteriore sviluppo.

D. La crisi ha insegnato qualcosa agli investitori, sia professionali, sia retail?

Chelli.  Sicuramente sì, in termini di utilizzo degli Etf. Con la crisi è emerso un forte ricorso agli Etf a leva e short, in ottica sia difensiva (copertura) sia attiva (speculazione). Gli Etf a leva e short sono nati inizialmente come strumenti di nicchia, ma poi si sono definitivamente affermati e oggi rappresentano più di un terzo del controvalore negoziato su Etf su Borsa Italiana. Riteniamo che, proprio a fronte della crisi di fine 2008, si sia capita l’importanza tattica di operare con un approccio a leva e short: molti investitori professionali, del resto, hanno stringenti limiti operativi o di mandato per l’impiego di derivati e pertanto gli Etf a leva e short rappresentano un’ottima alternativa. Un altro trend che si è manifestato subito dopo la crisi è stato quello degli Etf azionari su Paesi emergenti: la loro diffusione è stata tale che attualmente questa asset class è la seconda (per contratti e controvalore) solo agli Etf azionari su Paesi sviluppati, superando quelli obbligazionari. Che, storicamente, hanno sempre rappresentato una tipologia estremamente rilevante. Oggi, più di un quinto delle masse negoziate su Borsa Italiana è relativo a Etf azionari su Paesi emergenti, una cosa impensabile fino a pochi anni fa. A questo punto la domanda d’obbligo è: quale sarà il trend futuro degli strumenti di prossima emissione? Rispondo che non credo che si sia esaurito il trend degli Etf a leva short (per esempio recentemente abbiamo quotato su Borsa Italiana due Etf double short sul Dax e sul Bund Future), ma penso che ci sia anche la necessità di posizionarsi su alcune asset class intangibili come i dividendi, la volatilità e la correlazione. Essi, pur rappresentando mercati di nicchia, permetterebbero a un investitore istituzionale di costruire portafogli con sottostanti non disponibili e sicuramente poco correlati con le asset class tradizionali.

Bellingeri. Il trend di mercato degli Etf è chiaramente positivo e conferma un costante sviluppo. Dal 2002 a oggi abbiamo assistito a una crescita continua in tutti i sensi: per volumi, prodotti e contratti. È uno strumento che viene sempre più utilizzato come parte core dei portafogli da diverse tipologie di investitori. D’altro canto, visto che sono più di 500 gli strumenti quotati su Borsa Italiana, il mondo degli Etf necessita di un’attenta attività di selezione. La competizione è molto utile soprattutto all’investitore, che rappresenta la nostra priorità. È necessario però che l’investitore stesso utilizzi tutti i metodi per individuare lo strumento che più si adatta alla sua tipologia di investimento. La crescita degli Etf in questo periodo di crisi ha riguardato in particolare gli investitori istituzionali. Il passo successivo è come mettere a disposizione questi strumenti all’investitore privato e credo che questo sia l’obiettivo  comune a  tutti. Come fare? L’utente finale, e cioè l’investitore privato, non deve approcciarsi a questo mercato solo nell’ottica di utilizzo degli Etf all’interno delle gestioni patrimoniali o in fondi ma come un investimento diretto che non deve però avvenire tramite il fai da te ma attraverso la consulenza dei distributori. Il punto interrogativo allora è come, a livello distributivo, si  possa permettere all’investitore di beneficiare di questi strumenti. Secondo me il nuovo modello distributivo deve essere 2.0. E cioè, è necessario un cambiamento  orientato all’investitore in un’ottica di consulenza. Indipendentemente dal canale. Stiamo già riscontrando che le reti dei promotori finanziari stanno andando verso questa direzione. Quindi: consulenza indipendente e remunerazione fee only. In questo senso auspichiamo che anche il canale bancario colga questa enorme opportunità e quindi si adegui per mettere a disposizione dei clienti privati questi strumenti. È questo il prossimo, importante passaggio per l’industria degli Etf.

D. Le reti bancarie hanno interesse a puntare su altri prodotti, come i fondi, molto più remunerativi rispetto agli Etf. Questo non può rappresentare un ostacolo alla loro diffusione tra i clienti retail?

Camerini. Gli Etf si rivolgono a tutti. Il fatto che a livello di distribuzione si preferiscano prodotti a più alto margine non è una sorpresa. Una sensibilità più diffusa, anche tra i privati, sulla percezione del costo dell’investimento porterà senza dubbio un interesse crescente verso il mondo Etf anche da parte del retail. Ma questa non è un’evoluzione che vedremo in pochi mesi, pochi anni. Servirà uno sforzo importante in termini di accrescimento della cultura finanziaria ma alla lunga verrà premiato il business degli Etf.

Bosoni.  Vorrei sottolineare, comunque, che il mercato italiano degli Etf vede tradizionalmente una maggiore presenza di investitori retail rispetto ad altri mercati europei. Molti tra gli investitori privati che utilizzano il trading on line, e hanno una cultura finanziaria elevata, sono attivi anche negli Etf. Chiaramente stiamo parlando di volumi contenuti a fronte di un elevato numero di contratti. Da inizio anno infatti il 50% dei contratti sul mercato Etf plus di Borsa Italiana sono stati conclusi da piccoli investitori privati: si tratta di transazioni sotto i 5 mila euro che rappresentano meno del 5% del controvalore scambiato da tutto il mercato; il 95% dei volumi sono invece appannaggio di investitori istituzionali. È evidente comunque che la maggior parte delle famiglie si affida, per i propri investimenti in Borsa, al consiglio di esperti: questo significa che l’effettiva possibilità che la maggior parte dei privati arrivi a investire in Etf una parte della propria ricchezza dipende essenzialmente da quanto si riuscirà a sviluppare in Italia la consulenza fee only, che predilige strumenti finanziari come gli Etf in quanto trasparenti, flessibili e con base commissioni di gestione.

D. Le commissioni sugli Etf sono più basse rispetto ai fondi: come può essere risolto il problema della remunerazione? E quali possono essere i criteri di scelta tra così tanti Etf presenti sul mercato?

Volpe. Oggi i promotori finanziari sono remunerati sulla base del prodotto, sulla base delle commissioni di retrocessione. È chiaro che questo paradigma dovrà essere ribaltato completamente. E sono d’accordo sul fatto che la fee only sia la soluzione a questo problema. Darà un grande sostegno all’industria degli Etf. Detto questo, vorrei fare un’osservazione sui criteri di scelta di un prodotto. Si è parlato di qualità e non solo di costo. Penso che un prodotto, e anche un Etf, non possa essere scelto solo sulla base dei costi espliciti, del total expense ratio. Dire che il mio Etf costa tre basic point in meno non è una strategia vincente. Bisogna puntare su altri aspetti, sui famosi costi impliciti che sono quelli che sicuramente fanno la differenza sul mercato. Prendiamo il tipo di indice che si replica con l’Etf. Se si replicano indici total return rispetto a indici non total return a distribuzione spesso, nel secondo caso, abbiamo una fonte di tracking error, quindi un costo implicito.

Giangrande. Vorrei fare un passo indietro. Giustamente ci siamo soffermati sui criteri di scelta degli Etf, ma non abbiamo approfondito abbastanza le motivazioni per cui un investitore retail dovrebbe utilizzare gli Etf nell’ambito della costruzione del portafoglio. In questo senso abbiamo parlato forse troppo del costo. Sicuramente, da questo punto di vista, gli Etf sono soluzioni efficienti se comparati con prodotti di risparmio gestito che in alcuni casi, a causa delle eccessive commissioni caricate dal distributore, possono avere un rapporto non efficiente tra costo e performance. Ma la motivazione a investire in un Etf non può essere legata solo al costo. Gli Etf, prima di tutto, non danno brutte sorprese, almeno non in termini di performance assolute. Se l’investitore sbaglia e seleziona un indice di un mercato emergente che perde il 30% in un anno l’Etf performerà chiaramente nello stesso modo. Si limita quindi a replicare, ma rispetto alla performance del mercato prescelto, quando si investe in un Etf non si hanno, come dicevo, brutte sorprese. E se il mercato Usa, lo S&P 500, cresce del 30% l’investitore avrà la ragionevole certezza che il suo investimento farà il 30% al netto della commissione che, per altro, è molto limitata. Non solo: è possibile monitorare costantemente il portafoglio, è sufficiente infatti leggere l’andamento degli indici sui giornali. In estrema sintesi i principali vantaggi degli Etf sono la semplicità di monitoraggio, la trasparenza e la liquidità. È vero che ci sono tanti fondi eccezionali che battono il benchmark, ma il problema è saperli selezionare, essere in grado di fare una due diligence nella scelta del gestore, capire le performance passate e in qualche modo puntare sull’eccellenza del mercato. Insomma, credo che esistano diversi fondi che performano meglio degli Etf. Ma, se non si ha il tempo o la capacità per svolgere un corretto processo di selezione e si desidera costruire un portafoglio bilanciato tra le diverse asset class, l’Etf è uno strumento perfetto. Un altro punto fondamentale nel successo degli Etf è la possibilità di liquidare istantaneamente la posizione in situazioni di mercato molto volatili come questo con gli indici che perdono anche il 3%-4% al giorno. Con un Etf è possibile, infatti, chiudere la posizione in un secondo conoscendo immediatamente il prezzo. Quando si chiede il rimborso delle quote di un fondo, nella migliore delle ipotesi si riceverà il Nav di due giorni successivi a quello dell’inserimento dell’ordine. Di conseguenza, con mercati volatili come questi l’investitore si potrebbe trovare nella condizione di ricevere un prezzo di liquidazione di molto peggiore rispetto a quello che c’era al momento dell’inserimento dell’ordine. Non è un caso che anche gli investitori istituzionali abbiamo riscoperto il vantaggio offerto dagli Etf nella liquidazione istantanea. Poi ci sono Etf con spread più contenuti di altri ma questo dipende dalla liquidità delle componenti dell’indice a cui l’Etf è legato. È chiaro che un Etf sul Ftse Mib ha uno spread di mercato decisamente inferiore a uno sul mercato di Taiwan.

Bosoni. Il fatto che un Etf sia molto scambiato non significa che sia più liquidabile di altri meno trattati. Tutti gli Etf sono liquidabili grazie alla presenza obbligatoria sul mercato Etf plus dello specialista, cioè di un intermediario che ha l’obbligo di sostenere la liquidità di un Etf esponendo sul book di negoziazione proposte sia in acquisto che in vendita, nel rispetto di uno spread massimo e per le quantità minime stabilite da Borsa Italiana. Viene garantito un controvalore di circa 150 mila euro per gli Etf azionari e di 2 milioni per quelli obbligazionari, da ripristinare nel caso la proposta di negoziazione venga applicata. Si tratta di obblighi minimi che possono essere migliorati dai market maker. Quindi per ogni Etf, in qualsiasi momento della seduta di negoziazione, si trovano obbligatoriamente proposte sia in acquisto, sia in vendita, a spread contenuti, indipendentemente da quanto l’Etf stia scambiando o abbia scambiato in passato.

D. Questo modello dovrebbe essere adottato anche dalle banche?

Trezzi. Oggi, per quanto riguarda gli Etf, non abbiamo ancora un track record di tre anni. Quando lo avremo, come per i fondi, si vedranno i pro e i contro. E la stessa discussione aperta sui fondi la sentiremo anche per gli Etf. Oggi, pochi hanno esperienza di Etf. Domani, quando li conosceranno in tanti ci verrà chiesto qual è l’indice di rischio perfetto, che cosa è meglio sul mercato. E la gente farà le sue scelte, magari con strumenti di confronto tra i provider come quelli che operano già oggi per i fondi: pensiamo a Morning Star e ad Assogestioni. Se vogliamo muovere l’industria degli Etf, l’argomento da toccare non è questo. Fondi ed Etf sono, ripeto, complementari. E la percezione delle performance cambierà nel ciclo economico. Dobbiamo invece lavorare sulla comunicazione, abbattere le barriere di conoscenza del cliente retail che ha bisogno di un consulente che gli fornisca il 90% della sua performance che è rappresentata dall’asset allocation.

Camerini. Gli Etf replicano un indice, e quindi non c’è dubbio che si tratti di una gestione passiva. La gestione attiva, invece, ha per me la sua ragion d’essere nell’assoluta mancanza di trasparenza. Tutti conveniamo che se in questo momento c’è un gestore attivo capace di selezionare un portafoglio che batta l’indice, l’ultima cosa che vorrebbe fare il gestore è venirci a dire qual è il segreto del suo successo. Nella gestione attiva, l’expertise va al posto della trasparenza. L’Etf per definizione, invece, è uno strumento trasparente. Basta andare sui siti web dei provider per conoscere la composizione di un Etf. Se io divulgo la composizione del portafoglio di un fondo, i miei competitor possono prendere la mia posizione e ottenere la mia stessa performance. E io perdo il vantaggio competitivo. Andando all’estremo della gestione attiva, infatti, troviamo i fondi hedge. Nessuno sa che cosa ha in portafoglio un hedge. Per questo, non si può contrapporre l’investimento su un indice, come fa un Etf con un investimento che per sua natura non è trasparente. Gli Etf, per comunicazione e trasparenza, non hanno rivali. L’industria dei fondi comuni comunica la gestione dei portafogli una o due volte l’anno. Di un Etf (basato sulla replica fisica) si hanno notizie ogni giorno.

Volpe. Ricollegandomi al discorso della consulenza, bisogna tenere presente che gli Etf rappresentano nell’ambito del portafoglio di un cliente uno «strumento», e non una soluzione d’investimento come potrebbe essere invece quella offerta da un fondo a gestione attiva. Attraverso, infatti, un supporto consulenziale, l’utilizzo degli Etf consente di sviluppare strategie attive: basta infatti investire in soli due Etf, strumenti per definizione passivi, per implementare strategie tipiche di un gestore attivo. Per esempio: combinando un Etf long sul segmento 10-15 anni e un Etf short sul segmento uno-tre anni si può impostare una strategia di relative value, puntando, in questo caso, sull’appiattimento della curva dei rendimenti. Oggi, quindi, anche un investitore non professionale, con un adeguato supporto consulenziale e un piccolo investimento, può avere accesso a queste strategie tipiche di un investitore istituzionale. Direi che gli Etf stanno portando sul mercato innovazione di qualità a basso costo.

Bellingeri. A me piace osservare il mercato. Che cosa ci dice? La prima osservazione è che i maggiori utilizzatori di Etf sono le sgr che gestiscono prodotti attivi. Questo vuol dire che, a reputare molto utili gli Etf, sono le sgr. Quindi le vecchie polemiche su liquidità o concorrenza ai fondi vengono un po’ a cadere. Adesso bisogna guardare avanti e far sì che l’investitore finale possa avere i migliori strumenti possibili. Detto ciò, penso che anche le banche e le reti di distribuzione finanziarie abbiano solo da beneficiare dagli Etf. Mi chiedo: i privati da chi passano per acquistare gli Etf? Dagli intermediari, che sono le banche e i promotori. Tutti i soggetti del mercato. E quindi sono coinvolti nella filiera degli Etf. Noi emittenti dobbiamo mettere a loro disposizione tutti gli elementi conoscitivi per selezionare i migliori strumenti e aiutarli nelle loro scelte di asset allocation. E chi mette le barriere deve sapere che non fa l’interesse dei clienti. Il mercato non si può fermare, gli Etf entreranno sempre più nelle tasche degli investitori privati.

D. Il motivo per cui le banche mettono barriere agli Etf è la remunerazione molto  bassa di questi strumenti...

Camerini. Se parliamo di consulenza, mi sembra un servizio più difficile per i fondi attivi che per gli Etf. Chi offre consulenza deve capire il mix di indici più opportuno per l’asset allocation strategica per il cliente. La propensione al rischio, l’orizzonte temporale dell’investimento, il reddito, l’obiettivo dell’investimento. Un conto è parcheggiare liquidità per tre anni, perché penso che poi dovrò comprare la casa al mare, e un altro costruirmi a 35 anni una pensione integrativa. Oggi, questa prima parte della pianificazione finanziaria può essere effettuata da chi ha la competenza, implementandola solo con Etf. Ed è molto semplice avere un rapporto perfetto biunivoco tra gli indici che vengono assunti come rilevanti ai fini della determinazione dell’asset allocation e gli Etf che li replicano. Se andiamo invece su una gestione attiva, la competenza deve essere ancora superiore, perché bisogna scegliere ragionevolmente anche il gestore di successo capace di creare valore rispetto all’indice. E non è facile. Basti pensare che, prendendo come esempio il mercato tedesco, la probabilità stimata, su base storica, di selezionare un fondo che batta l’indice non è superiore al 6%. E se dovessimo prendere dieci mercati diversi e selezionare dieci gestori diversi, in dieci anni le probabilità statistiche di battere l’indice scendono praticamente a zero. Comunque io non vedo, nei fatti, un cliente retail che sappia autonomamente comporre un portafoglio senza la guida di qualcuno più esperto di lui che gli suggerisca, caso per caso, come muoversi. Io dico sempre che gli Etf sono un po’ come gli utensili che usa un bravo artigiano, un falegname. In mani esperte questi utensili molto affilati permettono di realizzare una bellissima opera d’arte. Se, invece, sono lasciati in mani poco esperte, possono ferire. Ecco qual è il rischio nel lasciare il retail al fai da te. Esistono così molti Etf con così tanti profili diversi (a leva, short, azionari su paesi emergenti) che, in determinate condizioni di mercato, possono originare perdite di portafoglio molto importanti. Se lasciamo l’utilizzo degli Etf  a mani inesperte rischiamo di comprometterne l’appeal e la reputazione di affidabilità e convenienza tra il grande pubblico.

Chelli. I prodotti nuovi creano allarme nel momento in cui vengono visti come alternativi. In realtà gli Etf sono perfettamente compatibili con il risparmio amministrato (visto che garantiscono alle banche le stesse commissioni di negoziazione tipiche di un’azione o di un’obbligazione) e rappresentano un’opportunità nell’ambito del risparmio gestito, dal momento che hanno aumentato il range di asset class facilmente accessibili da parte dei gestori attivi.

Essi possono inoltre agevolare il passaggio (ormai improcrastinabile) a una reale consulenza: a riguardo, occorre tener conto che, inserendo anche gli Etf all’interno di una asset allocation che sia ben disegnata sulle esigenze del cliente, la banca potrà infatti preservare la propria profittabilità grazie a servizi-strumenti di effettiva qualità.

Trezzi. Credo che le banche avranno tutto l’interesse a sviluppare un sistema di consulenza efficiente pensando di trattare in maniera equilibrata e corretta il cliente finale. Il punto di partenza è che esistono pochissime fabbriche e negli Etf questo è accentuato perché non c’è un provider di Etf in Italia. Il nostro Paese ha da un lato questa penalizzazione ma dall’altro offre una grande opportunità per le banche italiane. Se i nostri gruppi di credito non le coglieranno, ci saranno altri pronti a farlo...

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