Faccia a faccia con la crisi

Crisi, Segre: "Il suicidio è un atto di guerra"

Per il professore, il suicidio è un atto di guerra, una guerra contro se stesso per punire gli altri. C'è bisogno di manifestare il proprio dolore e accusare l'altro di quello che si soffre, fondamentalmente è una mancanza di responsabilità

Crisi, Segre: "Il suicidio è un atto di guerra"

Professore, che idea si è fatto del fenomeno dei suicidi?
“Non mi sembra che i suicidi legati al problema economico siano una novità. Sono certamente una tragedia ma non sono una novità perché il numero dei suicidi del 2010 è stato uguale a quello del 2011 e non ci sono variazioni per il momento”.

E al di là dei numeri?
“Forse sono cambiati i motivi. Leopardi diceva che per gli antichi il suicidio è un atto di gloria. Adesso per i moderni è un atto di stanchezza di vivere. Un atto dimostrativo che ha cause più varie ma quelle economiche non sono quelle principali”.

Quali sono le cause allora?
"C'è la convergenza di tre fattori: il bisogno di un riconoscimento sociale, soprattutto il riconoscimento dei mass media che è il più ambito, il bisogno di rivolta e di esternare questa volontà di rivolta. E poi c'è un bisogno di sollievo, un bisogno di liberarsi dalla depressione che si estende in tutti i campi ma anche da situazioni impossibili”. Altri elementi? “Il senso di colpa, il sentirsi responsabile dei guai di una famiglia o di una impresa che porta a chiedere la soluzione attraverso questo atto estremo”.

Come definirebbe il suicidio?
“E' un atto di guerra, una guerra contro se stesso per punire gli altri. C'è bisogno di manifestare il proprio dolore e accusare l'altro di quello che si soffre, fondamentalmente è una mancanza di responsabilità”.

Si spieghi meglio
“Chi ha studiato questo fenomeno è stato Durkheim che ha identificato quattro forme di suicidio: egoistico, altruistico, fatalista e anomico (privo di norme, relativo alla persona che ha perduto i punti di riferimento). E' in queste 4 categorie che uno può trovare tutte le cause di queste tragedie personali”.

Nell'ultimo periodo ha notato una enfatizzazione del fenomeno da parte dei media?
“C'è stata una crescita nell'attenzione dei media. Una volta il suicido era meno noto perché la gente si vergognava, perché il suicidio non riceveva l'approvazione della chiesa, perché la società era molto più portata a una visione altruistica della morte. Ma per i media la tragedia attira sempre di più della commedia”.

Cosa dovrebbero fare i media?
“I mass media dovrebbero fare quello che è contrario alla loro strategia: concentrarsi sui lati positivi ed essere umili. Ma naturalmente per loro l'interesse immediato è quello di attirare l'attenzione”.

Cosa direbbe a una persona che sta pensando di togliersi la vita?
”Direi che ci sono sempre delle alternative perché la distruzione di sé è mettere fine a tutte le alternative. Finché c'è vita, c'è possibilità di riscatto.

Il sostegno può venire solo dalla società che purtroppo ha esaltato l'individualismo fino al punto di far perdere il senso di sé in mezzo a un sostegno di massa che è impersonale”.

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