Controcultura

Il Cristo del Boccaccino apre gli orizzonti del '500

La "Crocifissione" datata all'inizio del secolo è fra i tesori custoditi nel Duomo di Cremona

Il Cristo del Boccaccino apre gli orizzonti del '500

Boccaccio Boccaccino, nato a Ferrara nel 1467, dopo la formazione in patria, da cui fugge dopo avere ucciso la moglie, è, in apertura del secolo nuovo, a Venezia, nel pieno della riflessione sui capolavori maturi di Giovanni Bellini, dalla Pala di San Zaccaria (1502), modello per la sua pala di San Zulian, alla mirabile Sacra Conversazione Giovanelli, concepita, con l'ampio respiro del paesaggio, più lacustre che lagunare, nel 1502-1503. E se belliniano è il taglio scelto per questa e altre fortunate tavole orizzontali, meno esplicito appare il riferimento a una generica aura giorgionesca, piuttosto circoscritto al tempo della romantica formazione ferrarese. In quegli anni, infatti, il primo a essere giorgionesco è Giovanni Bellini, alla prevalente lezione del quale si ispira in questo momento, tra 1504 e 1507, Boccaccino.

Appare invece evidente che Boccaccino, reduce dalla esperienza ferrarese, in equilibrio tra Domenico Panetti e Lorenzo Costa, non ha intenzione di fare salti in avanti rispetto al modello di Bellini, come avevano fatto, e ancora venivano facendo, i più inquieti e innovativi Giorgione e Lotto. Egli anzi sembra coltivare un volontario arcaismo nello schema compositivo, immobile, impostato, incantato, che arieggia al più rigido Palmezzano, almeno nelle due Sacre conversazioni di Venezia e di Berlino. Queste semplificazioni, come l'assenza di paesaggio, indicano una esecuzione intorno al 1504, prima dell'immersione dei gruppi della Madonna e Santi in una incantata poesia della natura. In questi anni, in ogni caso, Boccaccino si esercita in più occasioni, sul modello belliniano, variamente articolandolo: una fase di ricerca intermedia, con esiti di fissità compositiva, nella formula collaudata, tra il poeticissimo, pastorale gruppo asimmetrico della Sacra famiglia con un pastore della Galleria estense di Modena, nella indipendente concentrazione (o distrazione nei loro pensieri segreti) dei personaggi, databile al 1500-1501 (e cioè, significativamente, prima dei Tre filosofi di Giorgione), e il compiuto, monumentale capolavoro per la chiesa di Sant'Agata di Cremona: la Sacra Famiglia con la Maddalena, che chiude il fertile decennio con uno scatto potente nella figura intensa e autorevole del San Giuseppe. Pura poesia è il profilo nazzareno della Maddalena contro il rarefatto paesaggio, questa volta esplicitamente giorgionesco, liberato a sinistra dall'ingombro dell'arazzo teso a delimitare il campo della sacra famiglia. Una impostazione che rompe lo schema delle precedenti Sacre conversazioni belliniane, e apre la strada a Palma il Vecchio.

Entro questi anni, e durante queste evoluzioni del tema prediletto della Sacra conversazione, si pone il grande telero con la Crocifissione per il Duomo di Cremona, in fase di restauro. I riferimenti alti, e non ancora allontanati dalla memoria, sono Antonello e Mantegna. E, a Ferrara, Lorenzo Costa. Ma Boccaccino vuole andare oltre, e si misura con il suo concittadino e affine, lasciato in patria, Giovanni Battista Benvenuti, detto l'Ortolano, che trasforma i protagonisti del drammatico episodio in sculture lignee o di terracotta policroma in un ritmo serrato accompagnato da un urlo soffocato. La composizione innalza la croce oltre un paesaggio inaridito, e isola i protagonisti in un catafratto dolore. La statuaria immagine della Madonna è potente, tragica, ritagliata nella sofferenza con risultati drammatici, affini a quelli del vicentino Bartolomeo Montagna (e perfino con un lontana memoria della Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella a Firenze). Scrive Alfredo Puerari: «La compostezza pietosa dei personaggi si ambienta in un paesaggio solitario, dai larghi dossi giallo bruni, disseminati di alberetti quasi spogli, stabiliti in salienti contrappesi e ritmati sulle linee stesse delle braccia del Cristo la cui apertura sembra estendersi dall'alto su tutto l'orizzonte... Il bellissimo perizoma si illumina all'unisono con il dolce splendore dell'aria... E mentre l'imponente ascendenza del paesaggio verso i confini dell'orizzonte può richiamarsi al salire degli sfondi belliniani, si direbbe che qualche impressione sia andata già oltre Bellini; che un vago sentore giorgionesco aleggi nella natura».

L'impianto semplice, ancora quattrocentesco, perde unità nell'isolamento delle figure con gli ampi panneggi come scolpiti in ripetute pieghe di evidenza geometrica. Boccaccino intuisce forme nuove nel tentativo di mettersi al passo con l'armonia di Perugino e Raffaello, allusi nella Maddalena ai piedi della croce così lontana dalla dolente Madonna. In basso a destra il committente, probabilmente Benedetto Fodri, è il medesimo dell'affresco con il Redentore benedicente del catino absidale, di poco precedente (1506), come l'Annunciazione sull'arco trionfale. La Crocifissione segue di poco. Il Tanzi ci ricorda che la grande tempera fu acquistata dalla Fabbriceria nel 1792, per suggerimento di Giovanni Battista Biffi, e che non è quindi stata concepita per la Cattedrale. Le dimensioni e l'impegno rimandano però a una sede di rilievo. Sono mutati i tempi e nessuna soggezione governa l'estro e l'invenzione di Boccaccio Boccaccino, maestro che si avvia alla notevole e complessa impresa degli affreschi, con le vaste Storie della Vergine e di Cristo (1513-1519), nella cattedrale di Cremona, suo capolavoro padano, in parallelo con gli affreschi di Raffaello nelle Stanze vaticane, certamente conosciute in un viaggio a Roma, tra stupore e ammirazione.

Il Puerari osserva: «Il Boccaccino riportò da Roma nella città padana le prime nozioni di Raffaello, ch'egli certo rimeditò a Firenze studiando gli affreschi di Andrea del Sarto nel chiostro dell'Annunziata. I temi poi del ciclo della Vita della Madonna delle stampe del Dürer suggerirono una traccia al pittore. Gli elementi di ritmo, di simmetria, di prospettica scansione spaziale, se costituiscono i dati di una sintassi classicistica, rappresentando il momento arcaico-ideale della cultura del Boccaccino articolano purtuttavia una trama di connessioni interne, episodiche, poeticissime - paesaggi elegiaci, ambienti pittoreschi, costumi ricchi e variati - che rivelano la natura analitica, patetica, naturalistica del pittore.

Con la Circoncisione la più intensa espressività, il senso di partecipazione collettiva dei personaggi all'azione, l'asimmetria illusionistica dei prospetti architettonici, certa trascuratezza nella resa degli abbigliamenti, rivelano una prima frattura nel calmo stile boccacciniano: qualche eco già del Romanino e il risolversi della parata in azione più diretta e comunicativa sono segni delle pressioni esercitate sull'anziano maestro dai pittori della nuova generazione sovvertitrice e rivoluzionaria ai quali venne affidata la prosecuzione del ciclo».

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